Tratto dalla relazione di Don Giuseppe Crocetti
Nel 1770, a seguito di ripetuti fenomeni atmosferici e scosse di terremoto che avevano causato gravi danni all’interno del monastero ed in particolare alla Chiesa con gravi cedimenti a tutta la struttura ed in special modo alla torre campanaria, l’Arcivescovo di Fermo, Card. Urbano Parracciani, inviò alcuni periti di sua fiducia per esaminare e valutare l’eventuale possibilità di mantenere in piedi la vecchia Chiesa. Tutti però, furono concordi nel riferire che non era affatto conveniente spendere altro denaro in tal senso.
Fu così che il 5 giugno 1771, tutti i Canonici riuniti in Capitolo Generale, decisero di procedere alla demolizione della chiesa e della struttura monastica pericolante e di procedere alla costruzione di una nuova Chiesa, da collocarsi in luogo più sicuro e comodo.
Il 15 agosto 1771 il Sarcofago con le reliquie di S. Vittoria fu trasferito nella Chiesina di S. Maria della Valle “con grande pompa e con l’intervento di tutte le confraternite e con il concorso di molto popolo devoto; quel Sarcofago fu posto su di un carro riccamente bardato e con solennità grande trainato da due forti ed eleganti cavalli.”, ove, per venti anni, raccoglierà il capitolo dei Canonici “benché poco adatta per la sua piccolezza”.
Mancava solo di affidarsi ad un architetto capace di prendersi un così grande impegno. Probabilmente fu il Vicario Foraneo, il Canonico Marinelli, nativo di S. Severino, a suggerire il nome del Mastro muratore Antonio Fazi, suo compaesano.
Il 1 marzo 1774, dinanzi al notaio Giuseppe Pacioni, il medesimo si obbligò a costruire in dieci anni la nuova Chiesa Collegiata. Il disegno da lui stesso presentato ed approvato dal Capitolo, aveva un impianto a croce greca a tre navate, con due torri in facciata; sul fianco destro un oratorio per l’insegnamento della Dottrina Cristiana e dall’altro la Sacrestia e due camere per i Canonici. Tale progetto forse doveva ispirarsi all’antica chiesa che aveva appunto tre navate, e difatti la lapide apposta nella prima pietra dice “parum a veteri immutato”; le due torri volevano ricordare l’abbazia di Farfa, da cui S. Vittoria dipendeva da secoli.
Dopo qualche mese furono iniziati i lavori: demolite le Chiese di S. Croce, della Madonna della Misericordia, della SS. Trinità, ed accantonato il materiale riutilizzabile fu iniziato il livellamento del terreno e portati a buon punto gli scavi per le fondamenta. Ma ecco farsi avanti il primo intoppo.
Il Fazi nello stesso tempo si era aggiudicato l’appalto per i lavori di fortificazione del Paese presso Porta S. Salvatore e preferì dare precedenza a questi lavori e per far più in fretta utilizzò molto materiale recuperato dalle rovine della vecchia Chiesa di S. Vittoria.
I Canonici ne chiesero il compenso, ma invano. Essendo il Fazi gravato da molti debiti ne fu chiesto il fallimento e il conseguente annullamento del contratto.
Poiché le fondamenta erano già scavate, per ovviare ai danni delle piogge autunnali, i Canonici richiesero all’Arcivescovo di Fermo di voler delegare uno di loro a benedire e porre la prima pietra, prima di procedere al riempimento delle fondazioni. La delega fu spedita in favore del Priore Don Giuseppe Terribili, il quale nella qualifica di Parroco e di Prima Dignità Capitolare dal 1758 al 1802, seguì tutto l’iter edificativo della nuova Collegiata.
L’11 settembre di quell’anno fu posta la prima pietra, benedetta nella forma prescritta dal Rituale Romano, unitamente alla scatola di piombo contenente le Reliquie dei Santi Biagio, Vitale, Donato, Saturnino, Agnese, Orsola ed Ippolito…un po’ di terra del S. Sepolcro di Nostro Signore, del Tempio di Salomone e dell’Arca di S. Vittoria. Sopra la pietra fu posta la seguente iscrizione, incisa su lamina di rame che recita:
Fu così che il 5 giugno 1771, tutti i Canonici riuniti in Capitolo Generale, decisero di procedere alla demolizione della chiesa e della struttura monastica pericolante e di procedere alla costruzione di una nuova Chiesa, da collocarsi in luogo più sicuro e comodo.
Il 15 agosto 1771 il Sarcofago con le reliquie di S. Vittoria fu trasferito nella Chiesina di S. Maria della Valle “con grande pompa e con l’intervento di tutte le confraternite e con il concorso di molto popolo devoto; quel Sarcofago fu posto su di un carro riccamente bardato e con solennità grande trainato da due forti ed eleganti cavalli.”, ove, per venti anni, raccoglierà il capitolo dei Canonici “benché poco adatta per la sua piccolezza”.
Mancava solo di affidarsi ad un architetto capace di prendersi un così grande impegno. Probabilmente fu il Vicario Foraneo, il Canonico Marinelli, nativo di S. Severino, a suggerire il nome del Mastro muratore Antonio Fazi, suo compaesano.
Il 1 marzo 1774, dinanzi al notaio Giuseppe Pacioni, il medesimo si obbligò a costruire in dieci anni la nuova Chiesa Collegiata. Il disegno da lui stesso presentato ed approvato dal Capitolo, aveva un impianto a croce greca a tre navate, con due torri in facciata; sul fianco destro un oratorio per l’insegnamento della Dottrina Cristiana e dall’altro la Sacrestia e due camere per i Canonici. Tale progetto forse doveva ispirarsi all’antica chiesa che aveva appunto tre navate, e difatti la lapide apposta nella prima pietra dice “parum a veteri immutato”; le due torri volevano ricordare l’abbazia di Farfa, da cui S. Vittoria dipendeva da secoli.
Dopo qualche mese furono iniziati i lavori: demolite le Chiese di S. Croce, della Madonna della Misericordia, della SS. Trinità, ed accantonato il materiale riutilizzabile fu iniziato il livellamento del terreno e portati a buon punto gli scavi per le fondamenta. Ma ecco farsi avanti il primo intoppo.
Il Fazi nello stesso tempo si era aggiudicato l’appalto per i lavori di fortificazione del Paese presso Porta S. Salvatore e preferì dare precedenza a questi lavori e per far più in fretta utilizzò molto materiale recuperato dalle rovine della vecchia Chiesa di S. Vittoria.
I Canonici ne chiesero il compenso, ma invano. Essendo il Fazi gravato da molti debiti ne fu chiesto il fallimento e il conseguente annullamento del contratto.
Poiché le fondamenta erano già scavate, per ovviare ai danni delle piogge autunnali, i Canonici richiesero all’Arcivescovo di Fermo di voler delegare uno di loro a benedire e porre la prima pietra, prima di procedere al riempimento delle fondazioni. La delega fu spedita in favore del Priore Don Giuseppe Terribili, il quale nella qualifica di Parroco e di Prima Dignità Capitolare dal 1758 al 1802, seguì tutto l’iter edificativo della nuova Collegiata.
L’11 settembre di quell’anno fu posta la prima pietra, benedetta nella forma prescritta dal Rituale Romano, unitamente alla scatola di piombo contenente le Reliquie dei Santi Biagio, Vitale, Donato, Saturnino, Agnese, Orsola ed Ippolito…un po’ di terra del S. Sepolcro di Nostro Signore, del Tempio di Salomone e dell’Arca di S. Vittoria. Sopra la pietra fu posta la seguente iscrizione, incisa su lamina di rame che recita:
“Templum – D.O.M. –
Deiparae Victoriae Virgini et Martiri et Benedicto sacrum –
Saeculo X reparata salutis ineunte – Petro Farf. Abate –
excitatum – squalidum vetustate temporumque iniuria callabescens –
Clemente XIV Pont. Max. –
Urbano Parracciani Cardinali Antistite Principe Firmano –
annuentibus atque facientibus – collegium canonicorum –
etiam aere pubblico ac piorum Sodalitatum corrogato"
tradotta dal testo latino suona così: “Questa chiesa è dedicata a Dio ottimo massimo, alla Madre di Dio, a S. Vittoria V.M., e a Benedetto. Da Pietro, abate farfense, era stata edificata agli inizi del sec.X della nostra redenzione; divenuta squallida per antichità e cadente per l’ingiuria del tempo, con l’assenso e l’aiuto del Papa Clemente XIV e del Card. Urbano Parracciani Arcivescovo e Principe di Fermo, il Collegio dei Canonici, con il contributo del Comune e delle pie Confraternite ne curò la ricostruzione in luogo più stabile, in forma non molto diversa dall’antica, ponendovi la prima pietra l’11 settembre 1774.”
Vi furono poste anche 8 medaglie di metallo di cui una con l’immagine della Madonna di Loreto.
Finalmente il 27 agosto 1783, dinanzi al notaio Nicola Discreti e l’Arcivescovo di Fermo Card. Andrea Minnucci, fu stipulato il contratto con ‘Arch. Pietro Augustoni da Como, che accettò in linea di massima il progetto ideato dal Vassalli riservandosi di apportare qualche modifica per adattarlo alle fondamenta del Fazi. Per la fornitura di pietra, calce, sabbia, mattoni, coppi e pianelle si attivarono cave e fornaci nel territorio, mentre per l’accantonamento del materiale a pié di fabbrica concorse la cittadinanza tutta con prestazioni di volontariato.
Dopo soli tre anni nel 1786, la Chiesa risultava “quasi interamente coperta nel suo tetto, insieme alla sacrestia…” mentre la torre era stata condotta fino allo spiccamento dei finestroni ove verranno installate il 21 ottobre 1787 le famose campane. Tutto il lavoro di falegnameria fu eseguito nella bottega del Mastro Domenico Brunetti, residente a S. Vittoria fin dal 1764, costruttore del coro di forma rettangolare per l’antica Chiesa di S. Vittoria. Il figlio Giuseppe nel 1793 lo ricostruì con opportune aggiunte, collocandolo nell’abside semicircolare della nuova chiesa Collegiata. La decorazione della Chiesa e della cripta con cornici, cornicioni e capitelli, la costruzione delle Cappelle per gli Altari, gli altorilievi e le sculture in gesso marino sono opera del Mastro Domenico Fontana, artista lombardo che godeva la fiducia dell’Arch. Augustoni; questi vi lavorò negli anni 1790/91. Per le pale degli altari minori furono riutilizzate alcune tele della vecchia Chiesa con adattamento alle nuove misure.
Alla scadenza contrattuale di dieci anni l’Augustoni aveva portato a compimento l’opera monumentale.
“A mezzogiorno del 15 agosto 1793 il Vicario Foraneo, Canonico Giuseppe Marinelli, delegato dall’Arcivescovo di Fermo, procedette alla Benedizione solenne della nuova Chiesa” alla sera dello stesso giorno i Canonici, il Clero, il Magistrato e gran concorso di popolazione sfilarono in solenne processione per riportare le Reliquie di S. Vittoria nella nuova Chiesa dove furono definitivamente sistemate nella cripta il 20 agosto 1793.
Il 6 maggio 1798, in tempo di Rivoluzione Francese, avvenne la solenne cerimonia della Consacrazione ad opera del Ven.le Giuseppe Menocchio, Vescovo di Ippona.
Vi furono poste anche 8 medaglie di metallo di cui una con l’immagine della Madonna di Loreto.
Finalmente il 27 agosto 1783, dinanzi al notaio Nicola Discreti e l’Arcivescovo di Fermo Card. Andrea Minnucci, fu stipulato il contratto con ‘Arch. Pietro Augustoni da Como, che accettò in linea di massima il progetto ideato dal Vassalli riservandosi di apportare qualche modifica per adattarlo alle fondamenta del Fazi. Per la fornitura di pietra, calce, sabbia, mattoni, coppi e pianelle si attivarono cave e fornaci nel territorio, mentre per l’accantonamento del materiale a pié di fabbrica concorse la cittadinanza tutta con prestazioni di volontariato.
Dopo soli tre anni nel 1786, la Chiesa risultava “quasi interamente coperta nel suo tetto, insieme alla sacrestia…” mentre la torre era stata condotta fino allo spiccamento dei finestroni ove verranno installate il 21 ottobre 1787 le famose campane. Tutto il lavoro di falegnameria fu eseguito nella bottega del Mastro Domenico Brunetti, residente a S. Vittoria fin dal 1764, costruttore del coro di forma rettangolare per l’antica Chiesa di S. Vittoria. Il figlio Giuseppe nel 1793 lo ricostruì con opportune aggiunte, collocandolo nell’abside semicircolare della nuova chiesa Collegiata. La decorazione della Chiesa e della cripta con cornici, cornicioni e capitelli, la costruzione delle Cappelle per gli Altari, gli altorilievi e le sculture in gesso marino sono opera del Mastro Domenico Fontana, artista lombardo che godeva la fiducia dell’Arch. Augustoni; questi vi lavorò negli anni 1790/91. Per le pale degli altari minori furono riutilizzate alcune tele della vecchia Chiesa con adattamento alle nuove misure.
Alla scadenza contrattuale di dieci anni l’Augustoni aveva portato a compimento l’opera monumentale.
“A mezzogiorno del 15 agosto 1793 il Vicario Foraneo, Canonico Giuseppe Marinelli, delegato dall’Arcivescovo di Fermo, procedette alla Benedizione solenne della nuova Chiesa” alla sera dello stesso giorno i Canonici, il Clero, il Magistrato e gran concorso di popolazione sfilarono in solenne processione per riportare le Reliquie di S. Vittoria nella nuova Chiesa dove furono definitivamente sistemate nella cripta il 20 agosto 1793.
Il 6 maggio 1798, in tempo di Rivoluzione Francese, avvenne la solenne cerimonia della Consacrazione ad opera del Ven.le Giuseppe Menocchio, Vescovo di Ippona.
Oggi, ogni santavittoriese gode e si vanta di possedere una chiesa monumentale in stile neo-classico, da annoverare tra le più belle e più grandi chiese erette nella diocesi di Fermo. Ma non tutti sanno quanto è costata in sacrifici, travagli e denaro ai nostri antenati del secolo XVIII.
La costruzione della Chiesa costò al Capitolo complessivamente la somma di 25.000 scudi, senza tener conto del legname adibito nella costruzione e per alimentare le fornaci di mattoni, e senza calcolare i materiali recuperati nella demolizione del vecchio complesso monastico e delle tre chiese site alle falde del colle Matenano.
Da quanto è stato esposto in questa ricostruzione storica maturano alcune riflessioni, degne di essere sottolineate, innanzi tutto si evidenzia la grande volontà di tutti i santavittoriesi per riuscire nella grandiosa impresa, senza ricorso a sussidi governativi, che in quei tempi non erano previsti. Poi il fatto che né il fallimento del Fazi, né il disaccordo con il Vassalli, pur procurando qualche ritardo, riuscirono a far desistere dall’impresa. Di notevole rilevanza è da considerarsi il contributo di quell’Amministrazione Comunale che si impegnò per la somma di 600 scudi; per eguale somma più tardi nel 1862, acquistò dalla Cassa Ecclesiastica del Risorgimentale Governo Italiano tutto il convento con Chiesa e orto di S. Agostino, ora sede del Comune ed altri uffici distrettuali.
La costruzione della Chiesa costò al Capitolo complessivamente la somma di 25.000 scudi, senza tener conto del legname adibito nella costruzione e per alimentare le fornaci di mattoni, e senza calcolare i materiali recuperati nella demolizione del vecchio complesso monastico e delle tre chiese site alle falde del colle Matenano.
Da quanto è stato esposto in questa ricostruzione storica maturano alcune riflessioni, degne di essere sottolineate, innanzi tutto si evidenzia la grande volontà di tutti i santavittoriesi per riuscire nella grandiosa impresa, senza ricorso a sussidi governativi, che in quei tempi non erano previsti. Poi il fatto che né il fallimento del Fazi, né il disaccordo con il Vassalli, pur procurando qualche ritardo, riuscirono a far desistere dall’impresa. Di notevole rilevanza è da considerarsi il contributo di quell’Amministrazione Comunale che si impegnò per la somma di 600 scudi; per eguale somma più tardi nel 1862, acquistò dalla Cassa Ecclesiastica del Risorgimentale Governo Italiano tutto il convento con Chiesa e orto di S. Agostino, ora sede del Comune ed altri uffici distrettuali.
Nel 1783, senza gru, computer o fondi europei, con determinazione e rispetto degli impegni, in appena dieci anni la comunità eresse dal nulla la maestosa Chiesa Collegiata di Santa Vittoria in Matenano. Oggi, con tutta la tecnologia, i tecnici, i fondi pubblici e le promesse politiche, nove anni dopo il terremoto non si riesce nemmeno a completare un progetto. Non la ricostruzione — il progetto. Fa pensare che il vero terremoto non sia stato quello del 2016, ma quello morale, quello che ha scosso il senso di responsabilità, la visione, il coraggio. Dove una volta si agiva, oggi si "temporeggia"!!
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