Cron.(601-1000)

  • 678 d.C.     Ricostruzione dell' Abbazia di Farfa ad opera di San Tommaso di Morienna, distrutta forse dai Longobardi. I monaci Farfensi non ebbero origine benedettina, ma diventarono benedettini più tardi. Essi hanno origine da San Tommaso di Morienne; un sant'uomo francese che, tornando da un pellegrinaggio in Terra Santa e passando per Roma, conobbe le rovine di un vecchio monastero presso Fara Sabina; lo restaurò e vi si insediò, insieme ad alcuni compagni, per vivere vita monastica. Non era certo nelle previsioni e tanto meno nelle intenzioni del sant'uomo l'immenso sviluppo che quel Monastero raggiunse in seguito.
  • 680 d.C.     Faroaldo II, duca di Spoleto, assegna all’Abbazia di Farfa, undici corti di undicimila moggi ciascuna. Alcune di queste è da supporre che ricadessero lungo il fiume Aso, nelle pertinenze territoriali degli attuali comuni di Ortezzano, Montelparo, Santa Vittoria in Matenano e Montefalcone Appennino. Dalla ridicola affettazione del num. 11 sembrerebbe che tali donazioni fossero favolose. A buon conto si trova che l’Abbadia ebbe delle grandissime possidenze particolarmente nella nostra Marca, e dell’acquisto di esse non se ne conosce altra origine.
  • 690 d.C. circa    Il vescovo Aldhelmo (abate di Malmesbury (640-709)), nel suo libro “De Laudibus virginitatis”, scrive la vita di S.Vittoria e Anatolia in prosa ed in versi, e assicura che le loro lodi sono ripetute al popolo attraverso le letture nella messa e nei sacri misteri. Ciò non è di poca importanza se si tiene conto che avveniva in Inghilterra quando non esistevano le vie di comunicazione di oggi né la celerità dei mezzi di trasporto odierni.
  • 700 d.C. circa    Le relazioni tra l’Abbazia di Farfa e le zone picene hanno origini molto precoci e vanno in larga misura inquadrate nella complessa riorganizzazione della frontiera meridionale del ducato di Spoleto che fu avviata nel primo ventennio del secolo VIII da parte del duca Faroaldo II. L’espansione dell’influenza del monastero sabino ebbe particolare sviluppo lungo l’asse delineato dalla via Salaria, che nell’alto medioevo, seppure con significative trasformazioni, restò il principale tramite attraverso la dorsale appenninica. La Salaria costituiva per Farfa una via strategica di collegamento tra i suoi possedimenti, diffusi come un arcipelago in una vasta area dell’Italia centrale.
  • 712 d.C.   10 dicembre – Morte di s. Tommaso da Morienne. Gli successe Haunepeto nativo di Tolosa in Francia.
  • 759 d.C.     Il sesto Abate di Farfa, Wandelbert (Vandelbertus) di origine aquitana, uomo di grande mansuetudine e pazienza, fu a capo della congregazione per un anno e sette mesi, dopo di che, considerando il peso di tale governo, chiese ai confratelli di esimerlo dalla cura pastorale. I monaci accettarono e gli assegnarono in territorio Firmane Civitatis S. Yppoliti monasterium ubi remotioris vitae quietem appetens, cursum consumavit in pace suum (nel territorio della città di Fermo il monastero di S.Ippolito dove, aspirando alla quiete di una vita più appartata, consumò in pace il resto della sua vita). Nel monastero di S.Ippolito, (confermato tra i possedimenti farfensi con Diploma del Re Desiderio del 17 dicembre 762) situato ai piedi del Monte Matenano (donato all’abbazia dalla vedova Abenetrada, “Ancilla Dei”); finì santamente i suoi giorni, fu sepolto e venerato come Santo fino al secolo XII. Il Matenano doveva dipendere dal vescovo di Faleria, se pure non era stato già riassorbito dal vescovo di Fermo, com’è probabile.
  • 817 d.C.     Il primo documento che parla di una chiesa sul sepolcro di S. Vittoria risale all’anno 817, quando Papa Stefano IV conferma al monastero di Farfa il possesso di “ex fondo fecclinulae uncias sex ubi est ecclesia Sanctae Victoriae” (sei once di terreno nel fondo Fecclinula ove è la chiesa di S. Vittoria). Nello stesso anno l'imperatore Ludovico il Pio, affida al monaco Stefano il governo della Marca di Camerino e di quella di Fermo, ed incoraggia la costruzione di un castello sulla vetta del Matenano, castello che deve avere una funzione imperiale ed antisaracena.
  • 840 d.C.     Su conferma dell’imperatore Lotario, possiamo ricordare i possedimenti farfensi del tempo di Pietro: alle donazioni di Abenetrada e Teodora si erano aggiunte altre piccole estensioni di terreno che dovevano essere nei dintorni del Matenano, di Montefalcone e Servigliano. Dopo qualche anno, Rabennone III conte di Fermo si rinchiuse nell’abbazia farfense per sfuggire alle pene della legge per aver ucciso l’amante della moglie Alterona. Il Duca di Spoleto passò allora a tale abbazia tutte le terre già da lui controllate. Nel fermano, dunque, Farfa aveva già il monastero di S.Silvestro sul monte Vissiano, S.Maria ad Ortaziano, S.Salvatore all’Aso di Force, un porto alle foci dell’Aso, S.Maria in Solestà ad Ascoli, S.Maria Mater Domini in Ponzano, Offida con le corti di S.Salvatore e S.Maria; la corte di S.Maria in Coperseto, tre chiese in Monte Granaro (S.Pietro, S.Maria in Montaspice, e quella che sarà poi di S.Ugo), e S.Maria al Chienti con vicino monastero di S.Pietro de Ripa e S.Giusto e S.Stefano di Monte Santo. Altri possedimenti erano dispersi nei territori di Camerino, S.Severino, Serrapetrona e Albacina, lungo l’Esino e la Valle Matelicana.
  • 859 d.C.     1 dicembre - L’abate Pertone, esibisce all’Imperatore Lodovico II, una carta di Lotario Imperatore, ed altre, con le quali si concedeva che il monastero di Farfa si avesse sotto la sua protezione, esente da qualunque soggezione a qualsivoglia altra persona, e l’imperatore dubitando forse di una tale amplissima concessione fece ben esaminare il diploma, e dopo le molte e più scrupolose discussioni, si trovò aver Lotario ordinato: ut nullus Pontifix, Dux, Princeps …idem monasterium sub tributo …censu constitueret sed omini quietudine sub defensione utque imperiali …fultum consisteret. Questo documento è alla origine della pretesa dei Farfensi di non soggiacere alla giurisdizione temporale di Roma
  • 890 d.C.     I Saraceni si spinsero fino a Roma ed assalirono l’abbazia di Farfa, una delle più belle d’Italia e forse la più ricca. Considerati come la più grande calamità per l’Italia nel secolo IX e fino al 916, i saraceni non erano un popolo di invasori, ma orde di briganti organizzate, che scorazzavano per la penisola, saccheggiando e seminando distruzioni. 
  • 897 d.C.     L’Abate Pietro I, eletto nell'890, dopo sette anni di resistenza, lasciò l’abbazia ed inviò parte dei monaci verso Roma, parte a Rieti ed egli con gli altri monaci venne nel Piceno con il tesoro del Monastero e si rifugiò a S.Ippolito e S.Giovanni in Silva dove erano altri suoi confratelli. È questo drappello di monaci che porta in salvo i libri più preziosi della biblioteca, mentre il resto scomparirà nel rogo dell’incendio che distruggerà il monastero di Farfa durante l’occupazione saracena nell’898. I monaci fuggiaschi superarono le giogaie appenniniche lungo la Salaria, toccarono il mare, risalirono i colli e scelsero il Matenano. Quassù l’abate Pietro, costruirà in seguito il castello che lo difenderà dai barbari e custodirà infine le sue spoglie.
  • 900 d.C. circa     L’abate Pietro convocò i monaci, i vassalli, gli enfiteuti, i lavoratori della terra e decise di costruire un torrione-oratorio sul Matenano a difesa delle scorrerie saracene.  A questa torre-oratorio, che rimase in piedi fino al 1771, diede il titolo di S.Maria in ricordo della splendida abbazia di S.Maria Savinese abbandonata sul colle Acuziano. Da quassù Pietro continuò a governare il feudo farfense ancora per una ventina d’anni. Il castello Matenano, per quanto sorto sotto l’urgenza di organizzare una difesa dei monaci farfensi del Fermano contro gli attacchi dei Saraceni, si caratterizzò poi sempre più, nel corso del secolo X, come centro di coordinamento dei possessi fondiari dell’abbazia nella regione; come risposta, dunque, ad una esigenza di accentramento su larga scala di determinate funzioni amministrative…. Risulta dalle fonti documentarie che le entrature affluissero a Santa Vittoria in Matenano da un’ampia area della marca fermana, ivi comprese alcune zone del comitatus Aprutiensis (allora facente parte della marca stessa). Il primo ciclo di entrature dovette servire a finanziare le opere di fortificazione sul Matenano nonché la costruzione della chiesa abbaziale di S. Vittoria.
  • 932 d.C.     L'abate Ratfredo, radunate cento famiglie marchigiane fra nobili ed altre, tornò nella Sabina e cominciò a rifabbricare l’antico già distrutto monastero Farfense. E in glorioso compenso della perdita che faceva il luogo fabbricato per sicurezza de’ monaci nelle vette del Monte Matenano della residenza delli abati farfensi, vi trasferì il corpo di S. Vittoria V. e M. e colmò quel luogo di beneficenze e di privilegi.
  • 934 d.C.      20 giugno - L’Abate Ratfredo trasferisce una parte delle reliquie del corpo di S.Vittoria sul Matenano. (Corpus nanque sancte Victorie ipse transtulit de Sabinensi territorio) – Che le incursioni arabe abbiano costituito il pretesto per il trasferimento delle reliquie credo si possa concordare soltanto in parte, dato che esso avvenne a vent'anni dalla loro fine. Le ragioni vere, che spinsero Ratfredo a prendere l'iniziativa sembrano essere più numerose e complesse. Tra le principali quelle di contrastare più efficacemente l'azione dei vescovi di Rieti nella valle del Turano, di accreditarsi come il vero restauratore di Farfa, sia sul piano materiale sia su quello spirituale, con il conseguente incremento del suo prestigio personale, e di collegare in modo più saldo la Sabina al Piceno. Del resto la solenne traslazione delle reliquie di S.Vittoria, con il fastoso corteo dei monaci e dei loro fideles diretto verso il Piceno che le dovettte scortare, costituì indubbiamente un atto liturgico di grande rilevanza, che comportò il riconoscimento ufficiale, anche se forse del tutto superfluo, del culto e la sua enfatizzazione in una vasta aera dell'Italia centrale. Rito in grado di restituire dignità e prestigio al monastero incendiato dai saraceni ed in via di ricostruzione. Il vescovo di Rieti dovette reagire al “furto sacro” con vigore. Infatti, secondo quando recita un'altra fonte agiografica reatina, probabilmente coeva alla traslazione o di poco posteriore, il clero ed i magnati reatini compirono l'inventio del corpo di Vittoria e lo traslarono in un braccio della catacomba mentre furono scavate due fosse in un altro settore del cimitero per seppellire i santi corpi delle sue compagne. Il testo agiografico tentava di accreditare una versione che mirava ad invalidare la traslatio farfense ed a mostrare come il corpo di Vittoria fosse stato in precedenza identificato e occultato insieme a quelle delle sue compagne, così che i monaci avevano sottratto un corpo “non santo” Versione che però non dovette trovare troppo credito.
  • 953 d.C.     Nella prima metà del decimo secolo il fermano era ancora un ducato autonomo, come risulta dal diploma del re d’Italia Berengario II del 953. Ma il duca e il vescovo che risiedevano a Fermo, il primo in nome del duca di Spoleto, il secondo in nome del papa, avevano meno potere effettivo che non l’abate farfense stabilito a Santa Vittoria.
  • 990 d.C.       Da un documento del 990 si sa che già in Santa Vittoria vi era una “cella”, o monastero femminile, dipendente dall’Abbazia di Farfa “tanquam filia a matre”. Quella cella, secondo il Mabillon (Annales Ord. S.Benedecti) corrisponde all’attuale Monastero di clausura delle Benedettine
  • 997 d.C.     Ugo, abate di Farfa dal 997 al 1038, grande riformatore della disciplina ed energico rivendicatore dei diritti dell’Abbazia, ci lasciò anche una ricca eredità di memoria sui due monasteri di Farfa e di S.Vittoria. Parlando del predecessore Pietro (928-936) scrive: “FABBRICO’ UN CASTELLO SUL MONTE MATENANO, DOVE POI FU COLLOCATO IL CORPO DI S. VITTORIA”. E di Ratfredo (928-936) scrive: “TRASPORTO’ IL CORPO DI S. VITTORIA DALLA SABINA AL LUOGO OVE SI VENERA, SUL MONTE MATENANO”.
     





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