martedì 23 dicembre 2014

Il 23 dicembre ricordiamo il martirio della nostra Patrona S.Vittoria v.m. romana.
Vorrei ricordarla raccontando due "segni" della devozione dei cittadini, due segni che rappresentano soprattutto una tradizione che putroppo negli anni si è affievolita fino quasi a perdersi nei ricordi di qualche anziano.
Il primo segno racconta che le mamme di S. Vittoria in Matenano, momentaneamente prive o scarseggianti del latte necessario alimento per i loro teneri infanti, dopo aver elemosinato il pane nelle case del vicinato e raccolto varie erbe nei campi, si sedevano presso la Fonte di S. Vittoria, detta anche “Fonte del Latte”, consumavano il frugale pasto e si dissetavano con quell’acqua, invocandone protezione e soccorso nel loro particolare bisogno.
Tante e tante mamme hanno affermato e testimoniato di aver, in tal modo, recuperato il dono del latte. L’origine di questa sorgente si fa risalire all'anno 934 al tempo cioè, della traslazione del Corpo di S. Vittoria dalla Sabina al Matenano.  Purtroppo le condizioni attuali della Fonte sono disperate, lo stato di totale abbandono del sito sta mettendo in serio pericolo di disfaciemnto l'intera struttura.



Il secondo segno è visibile a chi sosta presso il sarcofago, sito nella cripta del Santuario di S. Vittoria in Matenano.  Il sarcofago contenente alcuni resti del Corpo della Santa Martire, infatti, riporta nel basamento una gran quantità di perforazioni coniche, irregolarmente scavate nella pietra. Sono state prodotte con temperini per prelevarne polveri, da usare, come segno benefico, nel chiedere la guarigione da alcune malattie. Nel 1475, per testamento della signora Donnetta Vanni, si costituì un legato affinché nelle due feste di S. Vittoria (23 dicembre e 20 giugno) si dispensasse ai devoti un bicchier di vino benedetto con l’infusione delle polveri, rase dall’Arca della Santa. Tale tradizione è andata avanti fino agli inizi del secolo scorso.




giovedì 16 ottobre 2014

Il lusso estremo della corte angioina in mostra: quando Napoli era capitale dEuropa.  Il Museo del Tesoro di San Gennaro ospita la mostra:
"Ori, argenti, gemme e smalti della Napoli Angioina 1266-1381"

E' iniziata il 12ottobre e andrà avanti fino al 31 dicembre 2014, una eccezionale mostra presso il Museo del Tesoro di San Gennaro a Napoli. Lo sfarzo della corte angioina riunita in una esposizione unica, dal titolo "Ori, Argenti, Gemme e Smalti della Napoli Angioina 1266 – 1381".  La mostra riunisce per la prima volta al mondo gli oggetti di valore, sacri e profani, realizzati durante l'epoca angioina. Oggetti di lusso estremo commissionati dai Re per le loro consorti: gioielli, coppe, sigilli. Gli oggetti sacri come mitre, pastorali, reliquiari.

 I visitatori potranno ammirare la croce gigliata donata da Carlo II alla Basilica di San Nicola di Bari. Le mitre di Scala e Amalfi, adornate di perle e smalti. I pastorali di Atri e Sorrento, la capsula in oro a forma di foglia di vite, realizzata come bomboniera per le nozze di Filippo di Taranto e Tamara di Epiro: custoditi nel museo di Cividale. I sigilli dei Re di Napoli; i reliquiari di Santo Stefano e San Ludovico, provenienti da Capri e il Louvre, opera degli orafi toscani Pietro di Simone e Lando di Pietro. Dulcis in fundo (udite, udite!!) la croce stazionale di Santa Vittoria in Matenano.

 

mercoledì 15 ottobre 2014

Da grande appassionato, questo si, non certamente "studioso" come mi hanno definito, della storia legata al mio territorio, mi emoziono ogni qualvolta noto un vero interesse nei confronti del nostro paese e della Santa Patrona. Per cui sono felice di aver dato il mio piccolo e modesto contributo alla buona riuscita dell'escursione a Santa Vittoria in Matenano di Domenica scorsa 12 ottobre. 
Una splendida iniziativa quella dell'Associazione Culturale "Antichi Sentieri-Nuovi Cammini"; un progetto dal titolo “Tracce della nostra storia-Itinerario dei Benedettini/Farfensi” che li sta portando alla riscoperta della storia e delle tradizioni locali e ad apprezzarne i veri valori culturali, artistici, religiosi ed economici. Un "in bocca al lupo" per la vostra attività ed un ringraziamento al presidente Adolfo Leoni e agli altri amici.

venerdì 20 giugno 2014


20 GIUGNO...

Si, lo so che non c'è bisogno di scrivere niente... che è stato già detto tutto perché non c'è Santavittoriese vero che non conosca l'importanza di questa data!!
Ma lo scopo di questo mio modesto blog è anche quello di far conoscere la nostra storia a tutti coloro che non sono Matenani DOC!!! Ma che magari in un modo o nell'altro hanno un qualche interesse per la nostra storia.

COSA FESTEGGIAMO IL 20 GIUGNO ?
I predoni saraceni che con le loro scorrerie infestavano la Sabina sin dal febbraio 877, si spinsero fino a Roma e assediarono l'Imperiale Abbazia di Fara, tra le più potenti e ricche d'Italia. Tanto splendore e magnificenza e la speranza d’un facile bottino lusingarono l’ingordigia dei saraceni, che tentarono più volte di assalire il monastero. Ma Pietro I, che era stato posto al governo dell'Abbazia da alcuni mesi, raccolto l’esercito li tenne a bada per parecchi anni, finché, stretto sempre più all’intorno, dové sottrarsi all’eccidio con la ritirata. Divisi dunque i monaci in tre gruppi, fece altrettante parti del tesoro farfensi, ed una ne assicurò a Roma, un’altra a Rieti, la terza, con tutte le carte e i codici dell’archivio, tenne presso di sé, quando successivamente si ritrasse nel monastero di sant’Ippolito indi in quello di san Giovanni in Selva, nel Comitato Fermano. Prima d’abbandonare definitivamente Farfa, volle però tentare con le milizie l’ultima prova, e sotterrato tutto il mobilio prezioso, perché non poteva essere facilmente trasportato, resistette ancora per qualche tempo finché verso i primi mesi del 898 gli Infedeli penetrarono vincitori nella deserta Badia.
Non tardarono ad arrivare voci di scorrerie arabe anche al di qua dei monti, per cui l’abate Pietro, convocati i monaci, i vassalli, gli enfiteuti, i lavoratori della terra, decide di costruire un torrione-oratorio sul Matenano a difesa delle scorrerie saracene…. Il torrione-castello-oratorio di Pietro, rimase in piedi fino al 1771. A questo oratorio diede il titolo di S. Maria in ricordo della splendida abbazia di S. Maria Savinese abbandonata sul colle Acuziano.
Il castello sul Matenano, per quanto sorto sotto l’urgenza di organizzare una difesa dei monaci Farfensi del Fermano contro gli attacchi dei Saraceni, si caratterizzò poi sempre più, nel corso del secolo X, come centro di coordinamento dei possessi fondiari dell’abbazia nella regione; come risposta, dunque, ad una esigenza di accentramento su larga scala di determinate funzioni amministrative.
Risulta dalle fonti documentarie che le entrature affluissero a Santa Vittoria da un’ampia area della marca fermana, ivi comprese alcune zone del comitato Aprutino (allora facente parte della marca stessa). Il primo ciclo di entrature dovette servire a finanziare le opere di fortificazione sul Matenano nonché la costruzione della chiesa abbaziale di S. Vittoria.
Nel 915 i duchi di Napoli e di Gaeta stretti in lega con papa Giovanni X e con Alberico duca di Spoleto, sulle rive del fiume Garigliano distrussero l’esercito saraceno, che finalmente snidò d’Italia. Lassù a Santa Vittoria era ancora in vita Pietro I, il cui cuore sussultò di gioia all’annunzio di quel trionfo; l’incertezza tuttavia della cosa pubblica lo distolse dall’affrettare per allora il ritorno all’antico nido, che invece doveva essere l’opera del successore. L'abate Pietro infatti, dopo circa trent'anni di glorioso governo, muore nel 919 sul Matenano, nel castello da lui fatto costruire e sepolto dell'oratorio di S. Maria.
Nel 929 viene eletto abate Ratfredo, definito nei testi storici “vis nobili” in quanto parente di re Ugo di Borgogna. Appare come organizzatore capace e pratico; i documenti lo dicono versato più nei negozi secolari che non nella scienza di Dio, e quasi sicuramente non era nemmeno monaco. Fu lui che nel 932, radunate cento famiglie marchigiane, tornò nella Sabina, e cominciò a rifabbricare l’antico già distrutto monastero Farfense. E in glorioso compenso della perdita che faceva il luogo fabbricato per la sicurezza dei monaci nella vetta del Monte Matenano della residenza degli abati Farfensi, vi trasferì il corpo di Santa Vittoria V. e M. e colmò quel luogo di beneficenze e di privilegi. Una serie di circostanze avevano creato un secondo baluardo farfense al di qua degli Appennini. L'invasione dei saraceni aveva anche dimostrato la grande utilità che Farfa poteva ripromettersi da una seconda sede ugualmente munita e ricca coma la prima. Prima che nell'animo dei suoi svanisse la nostalgia nata dal soggiorno sul Matenano, pose mano alla colossale costruzione d'un vasto monastero, dove Pietro aveva eretto il suo primo maniero. E perché la potenza politica non gli facesse perder di vista anche l’ascendente religioso che il Monastero esercitava sul cuore dei popoli, dispose che il nuovo edificio badiale fosse ad un tempo la barriera inespugnabile dello stato farfense nel Piceno, e una specie di santuario venerato dalle turbe dei devoti: un vero focolare di liete idealità religiose per tutta la contrada picena.
Dopo circa due anni di duro lavoro, un corteo di monaci, milizie e di popolo, affrontarono il viaggio di ritorno verso il Matenano, portando con loro le sante reliquie della Vergine Romana Vittoria. Era il 20 giugno del 934 quando il corteo giunse in cima all'Oratorio farfense e il Corpo di S.Vittoria venne deposto nella Cripta.

martedì 27 maggio 2014

concittadini famosi:
VINCENZO TACCARI

Vincenzo Taccari aveva un pedigree politico e patriottico di tutto rispetto. (...) Nato a S. Vittoria in Matenano il 1° settembre 1816, frequentò dapprima il "corso filosifico" a Fermo e si iscrisse poi alla facoltà di Giurisprudenza di Macerata dove si laureò il 28 luglio 1841; esercitò la professione legale, venedo nominato il 25 aprile 1845 procuratore esercente e l'11 gennaio 1851 avvocato del Tribunale di appello per le province di Macerata, Ancona, Pesaro-Urbino, Fermo, Ascoli e Camerino, senza aver superato l'esame, "attese le eminenti prove di distinto giureconsulto" che aveva in precedenza offerto; cooperò inoltre all'Ufficio di avvocatura fiscale retto da Luigi Pianesi. Contemporaneamente, entrò nella Giovine Italia e partecipò attivamente all'attività cospirativa; combatté nella prima guerra di indipendenza e fu tra i membri del Circolo Popolare di Macerata, avendo diversi colloqui con Garibaldi durante la sua permanenza maceratese e sostenendo, sotto la Repubblica Romana, il preside Dionisio Zannini nella gestione degli affari pubblici e nella repressione del brigantaggio nell'Ascolano; inoltre venne nominato, nel maggio 1849, governatore provvisorio di Fabriano, ma i tentativi del suo amico Luigi Pianesi, deputato alla Costituente, di procurargli "una nomina stabile" furono stoppati dal precipitare degli eventi.
Caduta la Repubblica, venne attentamente sorvegliato dalla polizia e il 17 aprile 1851 il delegato Camillo Amici gli negò il passaporto per raggiungere Ancona dove era stato chiamato da affari legali. Nel giungo 1853, essendo stato Taccari arrestato dai carabinieri pontifici per aver partecipato alla trama mazziniana di quell'anno e sottoposto con altri sette individui a "criminale procedura" davanti all'Uditorato militare austriaco, il delegato Amici inoltrò richiesta per meglio conoscere le qualità "sotto ogni rapporto" dei carcerati e soprattutto il ruolo da essi svolto "all'epoca della spenta anarchia".
Dalla scheda su Taccari si viene a sapere che vi era il nulla osta per quanto riguardava la "condotta religiosa e morale", mentre in relazione alla "condotta politica" si notava: "Appartenne al Circolo popolare in qualità di Consigliere e come tale sottoscrisse molte stampe democratiche pubblicate dal sud. Circolo: fu fautore della Repubblica: fu sempre ritenuto da questa polizia per un settario e come tale veniva sorvegliato, poché conoscevasi che la setta faceva molto conto di lui, sebbene mantenesse nell'isterno un contegno riservato.
Che il personaggio fosse particolarmente abile a mantenere segreta la sua attività politica lo conferma una relazione dell'autorità di S.Vittoria in Matenano che segnalava come Taccari, durante il periodo di permanenza nella località natale, avesse mantenuto una condotta "sempre scevra da qualunque rimarco. Processato per alto tradiemnto e condannato alla pena di morte da eseguirsi per impiccagione, con sentenza letta "con apparato militare" nel Lazzaretto di Ancona, si vide commutata la pena da Radetzky in due anni di carcere: durante la prigionia fu suo compagno di cella il patriota anconetano Antonio Giannelli che, coinvolto nel medesimo processo, gli affidò, prima di morire il 26 giugno 1855, i suoi ultimi pensieri da consegnare ai familiari.
Conclusa l'espiazione della prigionia nel carcere di Macerata nel 1856, pur sottoposto a precetto di polizia, tornò ad esercitare la professione forense, associandosi allo studio dell'amico Giulio Giuliozzi,  futuro biografo. Riprese presto a cospirare e la polizia cercò di seguire ogni suo movimento: così, sul finire dell'agosto 1856, non sfuggì ai gendarmi una sua gita a Monte San Giusto dove si recò per rivedere sua sorella Filomena, "maritata in Gasparrini maestro di scuola", che da molto tempo non vedeva, e trattare alcuni affari con i fratelli Panzoni, di cui era procuratore; ancora, ai primi di settembre, le autorità pontificie fermane richiesero il "recapito politico del causidico Taccari" alle omologhe maceratesi.
Ma gli sviluppi della situazione politica italiana portarono anche Taccari tra le file del liberalismo e della stessa Società Nazionale che adottarono la monarchia di Vittorio Emanuele II e la politica cavouriana come riferimento essenziale della successiva attività patriottica. E fu Valerio a insistere affinché Taccari lasciasse la professione per occuparsi della vicenda amministrativa maceratese.
(tratto da MACERATA E L'UNITA' D'ITALIA a cura di Marco Severini, 2010)

giovedì 22 maggio 2014

S. VITTORIA E L'INFINITO!!
A molti di voi sarà giunta all'orecchio la notizia di questi giorni del ritrovamento di un terzo manoscritto de l'Infinito di Giacomo Leopardi che sembra essere passato nel suo lungo peregrinare anche tra le mani del Priore di Santa Vittoria in Matenano.
Qui sotto troverete alcuni tra i tanti articoli pubblicati in settimana e per concludere una nota esplicativa pubblicata da Dario Rossi nostro concittadino, che come al solito, forte delle sue ricerche sulla storia locale ha saputo a mio avviso ben relazionare sulla questione, fornendo un'ipotesi plausibile.


dal sito www.quoop.it
"L'INFINITO" DI LEOPARDI: RITROVATO IL MANOSCRITTO AUTOGRAFO.
Riemerso dal fondo della campagna marchigiana il manoscritto autografo dell'Idillio per eccellenza del poeta di Recanati: "L'infinito". La copia, databile intorno al 1821, sarebbe la terza, dopo quella di Napoli e di Visso, a disposizione di studiosi e appassioanti. (...)

LETTERATURA: LEOPARDI, SCOPERTO MANOSCRITTO AUTOGRAFO DELL'INFINITO
 Macerata, 13 mag. - (Adnkronos) - Un terzo manoscritto autografo dell'Infinito, la celeberrima poesia di Giacomo Leopardi, e' riemerso da un archivio privato del Maceratese. La notizia e' stata resa nota da Laura Melosi, responsabile della Cattedra Giacomo Leopardi dell'Universita' di Macerata e membro del Comitato scientifico del Centro nazionale di studi leopardiani (Cnsl) di Recanati (Macerata)

dal sito www.informazione.tv/it/Cultura
LEOPARDI E SANTA VITTORIA IN MATENANO. CHISSA' COME ?!
Leopardi, il poeta più studiato negli USA dopo Dante e l'Infinito è una delle poesie più lette. E' notizia di questi giorni del ritrovamento del terzo manoscritto autografo della poesia marchigiana: "l'Infinito".
La copia sconosciuta è stata rinvenuta dal direttore della Biblioteca di Cingoli, Luca Pernici. A giugno  un convegno all’Università di Macerata per ricostruire le tappe del rinvenimento.  Il foglio ritrovato sembra essere passato di mano varie volte: “dalla famiglia Leopardi al priore di S. Vittoria in Matenano e da qui per altri passaggi fino alla famiglia di S. Severino Marche”.   E’ una scoperta importante, è sarà interessante scoprire come mai Leopardi inviò una copia del manoscritto nella cittadina farfense. L'Infinito  fu scritto nel 1819, anno molto particolare per il poeta recanatese, lo stato di salute gli fece sospendere per alcuni mesi gli studi, questo lo spinge a chiarire la propria condizione di solitudine, di noia, e a maturare il suo "ancora indeterminato pessimismo", accompagnato dalla ribellione dell'ambiente familiare in cui soffoca.  Una copia della poesia è conservata a Napoli, un'altra nel Comune di Visso e quest'ultima si colloca tra il 1821 e 1822. La professoressa Melosi pubblicherà sulla "Rassegna della letteratura Italiana" in uscita nel prossimo giugno, un esauriente saggio sull'itinerario, dal Maceratese al Fermano, della ritrovata copia del manoscritto.

articolo di Giuseppe Porzi pubblicato su un quotidiano purtroppo non meglio identificato:
"L'INFINITO NON EMIGRI ALL'ESTERO" - il capolavoro ritrovato
La studiosa Laura Melosi sul rinvenimento del manoscritto leopardiano
Macerata - "Da studiosa di Giacomo Leopardi le dico che il ritrovamento del manoscritto originale dell'Infinito è importante perché aggiunge informazioni su come lavorava il poeta sulle carte". Laura Melosi, docente di Letteratura italiana e responsabile della Cattedra Giacomo Leopardi dell'Università di Macerata, da studiosa si sofferma istintivamente sul valore documentario della scoperta, ma subito aggiunge un elemento che potrebbe fare da sostrato a tutta la futura discussione sul documento. "Leopardi è fortemente identitario delle Marche, il suo legame col territorio è molto forte e le vicissitudini del documento lo testimoniano; questo legame, peraltro, è stato un elemento su cui abbiamo puntato molto per rilanciare la cattedra leopardiana di Unimc". Ma alla domanda dove eventualmente debba essere conservato, se sarà acquisito dalle istituzioni, glissa e si schermisce: "Sono toscana, anche se ho le Marche nel cuore, e mi tiro fuori da questo gioco". Ma subito aggiunge: "Però non vorrei che finisse nelle mani della solita università americana".
Delle vicissitudini e delle caratteristiche del manoscritto si parlerà dettagliatamente a giugno in un convegno dell'Università e forse in quella sede oltre che del passato, si potrà conoscere qualcosa in più del suo futuro. L'occasione sarà il compendio di oltre un anno di lavoro, scaturito da un rinvenimento casuale tra le carte di un archivio privato, comprendente anche documenti della famiglia settempedana Servanzi-Collio imparentata con i Leopardi. "In quella sede - spiega ancora Laura Melosi - ricostruiremo sia il lavoro scientifico che ha portato a stabilire la sua autenticità, sia il percorso storico che lo ha portato fuori dal palazzo Leopardi fino all'Archivio della famiglia settempedana". Un percorso carsico, in cui le tracce affiorano di tanto in tanto dopo lunghi periodi di silenzio e vari passaggi di mano. "Ma tutto si consuma nel giro di pochi chilometri, a cavallo tra le province di Macerata e Fermo. Spiegheremo fatti, personaggi e circostanze che hanno portato il documento dove è stato trovato. Quasi certamente esso è stato un omaggio della Famiglia Leopardi a qualche personaggio influente o a un amico per ripagare un favore ricevuto".
Si ricostruirà anche il lavoro che ha portato al riconoscimento dell'autenticità, delicato e non privo di difficoltà. "E' stato un lavoro discreto, quasi sotto traccia - racconta ancora Melosi - abbiamo proceduto con molta cautela; ci siamo confrontati con altri studiosi del poeta recanatese, finché non abbiamo avuto la certezza dell'originalità". Anche il Centro Studi Leopardiani ha seguito con grande attenzione il lavoro scientifico, "perché - conclude la studiosa - il rinvenimento può essere un enorme volano per la conoscenza di Leopardi al di fuori dei nostri confini. Il recanatese è il secondo poeta più studiato negli Usa dopo Dante, merito del grande lavoro compiuto dal Centro studi in questi decenni, che ora sta dando i suoi frutti".


NOTA  di Dario Rossi
MANOSCRITTO DE "L'INFINITO"  DI G. LEOPARDI
In relazione agli articoli apparsi nei giorni scorsi in alcuni quotidiani, si richiedono da più parti precisazioni e commenti sulla notizia, invero curiosa ed inattesa.
E' necessario anzitutto precisare che i manoscritti della notissima ode leopardiana sono più d'uno e dislocati in diverse strutture, quali la biblioteca di Palazzo Leopardi a Recanati, l'archivio storico di Visso, etc.. Quello al quale si riferiscono gli autori degli articoli dovrebbe essere altra copia e questo potrebbe già metterne in dubbio l'autenticità, visto che reca le medesime correzioni presenti nelle altre copie circa i ripensamenti del Poeta. Comunque, anche se gli eminenti studiosi lo ritengono autentico e di ciò non si vogliono avanzare dubbi, il manoscritto di cui si parla negli articoli è possibile sia passato per le mani di alcuni esponenti del nostro paese durante i secoli scorsi.
Tutta la vicenda ruota intorno ad un personaggio.
Nel 1794, esule dalla Francia a causa delle persecuzioni napoleoniche, giunge in Italia il canonico tedesco Joseph Anton Vogel, nato in Alsazia nel 1756. Stabilitosi a Fermo si distingue come eminente studioso, poliglotta e ricercatore ed a lui vengono affidate ricerche e studi sugli archivi della città che riordinerà catalogando in seguito anche gli archivi storici delle città di Cingoli e Matelica e di molti paesi del Fermano. Si stabilisce poi a Santa Vittoria dove risiede in casa del canonico e vicario foraneo Giuseppe Marinelli (che aveva la sua abitazione nel Piano di Sotto odierna Via Lamponi). Nel suo lungo soggiorno nel nostro paese il Vogel ha occasione di consultare ed annotare molte delle pergamene costituenti il fondo dell'Archivio Capitolare e ancora oggi le sue annotazioni compaiono al verso di molte di esse. Nel 1799 però l'arrivo dell'esercito cisalpino francese a Santa Vittoria lo distoglie dalle sue occupazioni e lo costringe nuovamente alla fuga. Frattanto nei primi anni dell'800, durante il priorato di Raffaele Martini, il canonico Marinelli si trasferisce a San Severino presso il conte Serafino Marinelli suo nipote per trascorrervi in vecchiaia gli ultimi anni della sua vita. Egli porta con sé, a fini di studio, numerosissime pergamene del fondo capitolare, che verranno riconsegnate alla Prioria di Santa Vittoria soltanto nel 1824, puntualmente catalogate e annotate dal canonico Vogel.
Questi nel frattempo dal 1802 al 1814 aveva fissato la sua residenza a Recanati per riordinare l'archivio comunale e dove nel 1809 sarà canonico della cattedrale recanatese. Nel 1806 è chiamato dal conte Monaldo Leopardi, padre di Giacomo, per catalogare la biblioteca di famiglia. In casa Leopardi condurrà anche delle ricerche che verranno pubblicate postume ed è ben presto preso a ben volere dal conte stesso che lo vuole quale precettore e pedagogo del figlio Giacomo. Il Vogel rappresenterà un punto fermo nell'educazione e formazione giovanile del poeta recanatese.
Nel frattempo mantiene sempre stretti contatti con la famiglia sanseverinate dei Marinelli, in casa dei quali si trovava ancora un numero considerevole di pergamene vittoriesi che il canonico tedesco porterà anche a Recanati per motivi di studio. Il Vogel muore a Loreto nel 1817 e Giacomo comporrà "L'Infinito" soltanto nel settembre del 1819. E' POSSIBILE, ma a mio parere alquanto improbabile, che il manoscritto stesso sia stato compreso tra le carte restituite al Marinelli dal Leopardi dopo la morte del Vogel e dai Marinelli stessi passato in seguito al Priore di Santa Vittoria Martini con la restituzione di parte delle pergamene avvenuta nel 1824.
Il manoscritto stesso passerà poi alla nobile famiglia dei Servanzi Collio di San Severino, nel cui sterminato archivio di famiglia sembra sia stato ritrovato.
Tutto quanto sopra è comunque da considerare nel campo delle possibilità e delle supposizioni e non si comprende in modo chiaro come il manoscritto de "L'Infinito" sia soltanto "passato" per le mani del Priore Martini che esercitò la sua funzione a Santa Vittoria dal 1802 al 1843.

lunedì 27 gennaio 2014

Mostra S.Vittoria






















Il 23 dicembre scorso abbiamo ricordato, come ogni anno, la festa della nostra Santa Patrona Vittoria v.m.. Per tale occasione il giorno 22 domenica la Parrocchia Priorale ha organizzato una piccola festa che prevedeva tra l'altro l'allestimento di una Mostra dal titolo: S.VITTORIA: I SEGNI NEL TEMPO. Un piccolo lavoro organizzato a "quattro mani" dal sottoscritto e da Bernardo Tanucci, che ha riscosso però tantissimi apprezzamenti dalla cittadinaza e dall'amministrazione comunale ed ovviamente dal Parrocco. Un piccolo lavoro, che ha una sola pretesa: quella di essere il trampolino di lancio e la scintilla fautrice di nuove e sempre più importanti occasione di incontro storico-culturale nel nostro amatissimo paese.