martedì 27 maggio 2014

concittadini famosi:
VINCENZO TACCARI

Vincenzo Taccari aveva un pedigree politico e patriottico di tutto rispetto. (...) Nato a S. Vittoria in Matenano il 1° settembre 1816, frequentò dapprima il "corso filosifico" a Fermo e si iscrisse poi alla facoltà di Giurisprudenza di Macerata dove si laureò il 28 luglio 1841; esercitò la professione legale, venedo nominato il 25 aprile 1845 procuratore esercente e l'11 gennaio 1851 avvocato del Tribunale di appello per le province di Macerata, Ancona, Pesaro-Urbino, Fermo, Ascoli e Camerino, senza aver superato l'esame, "attese le eminenti prove di distinto giureconsulto" che aveva in precedenza offerto; cooperò inoltre all'Ufficio di avvocatura fiscale retto da Luigi Pianesi. Contemporaneamente, entrò nella Giovine Italia e partecipò attivamente all'attività cospirativa; combatté nella prima guerra di indipendenza e fu tra i membri del Circolo Popolare di Macerata, avendo diversi colloqui con Garibaldi durante la sua permanenza maceratese e sostenendo, sotto la Repubblica Romana, il preside Dionisio Zannini nella gestione degli affari pubblici e nella repressione del brigantaggio nell'Ascolano; inoltre venne nominato, nel maggio 1849, governatore provvisorio di Fabriano, ma i tentativi del suo amico Luigi Pianesi, deputato alla Costituente, di procurargli "una nomina stabile" furono stoppati dal precipitare degli eventi.
Caduta la Repubblica, venne attentamente sorvegliato dalla polizia e il 17 aprile 1851 il delegato Camillo Amici gli negò il passaporto per raggiungere Ancona dove era stato chiamato da affari legali. Nel giungo 1853, essendo stato Taccari arrestato dai carabinieri pontifici per aver partecipato alla trama mazziniana di quell'anno e sottoposto con altri sette individui a "criminale procedura" davanti all'Uditorato militare austriaco, il delegato Amici inoltrò richiesta per meglio conoscere le qualità "sotto ogni rapporto" dei carcerati e soprattutto il ruolo da essi svolto "all'epoca della spenta anarchia".
Dalla scheda su Taccari si viene a sapere che vi era il nulla osta per quanto riguardava la "condotta religiosa e morale", mentre in relazione alla "condotta politica" si notava: "Appartenne al Circolo popolare in qualità di Consigliere e come tale sottoscrisse molte stampe democratiche pubblicate dal sud. Circolo: fu fautore della Repubblica: fu sempre ritenuto da questa polizia per un settario e come tale veniva sorvegliato, poché conoscevasi che la setta faceva molto conto di lui, sebbene mantenesse nell'isterno un contegno riservato.
Che il personaggio fosse particolarmente abile a mantenere segreta la sua attività politica lo conferma una relazione dell'autorità di S.Vittoria in Matenano che segnalava come Taccari, durante il periodo di permanenza nella località natale, avesse mantenuto una condotta "sempre scevra da qualunque rimarco. Processato per alto tradiemnto e condannato alla pena di morte da eseguirsi per impiccagione, con sentenza letta "con apparato militare" nel Lazzaretto di Ancona, si vide commutata la pena da Radetzky in due anni di carcere: durante la prigionia fu suo compagno di cella il patriota anconetano Antonio Giannelli che, coinvolto nel medesimo processo, gli affidò, prima di morire il 26 giugno 1855, i suoi ultimi pensieri da consegnare ai familiari.
Conclusa l'espiazione della prigionia nel carcere di Macerata nel 1856, pur sottoposto a precetto di polizia, tornò ad esercitare la professione forense, associandosi allo studio dell'amico Giulio Giuliozzi,  futuro biografo. Riprese presto a cospirare e la polizia cercò di seguire ogni suo movimento: così, sul finire dell'agosto 1856, non sfuggì ai gendarmi una sua gita a Monte San Giusto dove si recò per rivedere sua sorella Filomena, "maritata in Gasparrini maestro di scuola", che da molto tempo non vedeva, e trattare alcuni affari con i fratelli Panzoni, di cui era procuratore; ancora, ai primi di settembre, le autorità pontificie fermane richiesero il "recapito politico del causidico Taccari" alle omologhe maceratesi.
Ma gli sviluppi della situazione politica italiana portarono anche Taccari tra le file del liberalismo e della stessa Società Nazionale che adottarono la monarchia di Vittorio Emanuele II e la politica cavouriana come riferimento essenziale della successiva attività patriottica. E fu Valerio a insistere affinché Taccari lasciasse la professione per occuparsi della vicenda amministrativa maceratese.
(tratto da MACERATA E L'UNITA' D'ITALIA a cura di Marco Severini, 2010)

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