giovedì 16 febbraio 2012


Fermo li 30 giugno 1792. l’Arcivescovo di Fermo così scrive nella sua lettera di istanza:

Eminentissimo e Reverendissimo Pre Colendissimo,
la rispettosa istanza, che a pié dell’Augusto Trono è stata inviata al Santo Padre dal Priore e dai Canonici di Santa Vittoria, terra di questa mia Diocesi, onde vedere innalzata la loro chiesa Collegiata in Basilica Minore, non può da me essere considerata se non in aspetto favorevole, siccome tendente al maggior culto ed alla maggiore onorificenza di una Chiesa che fra le altre della stessa mia Diocesi si è sempre contraddistinta con le più rimarchevoli prerogative. Essendo di origine antichissima, sin dai primi lustri del secolo X, possiede essa il Corpo di S. Vittoria Vergine e Martire Romana, il di cui nome per le grazie e miracoli, che tutto dì ricevono i popoli anche lontani, è stato donato alla terra stessa, che come Protettrice l’onora in un nuovo Tempio pregevolissimo per la sua eleganza, e per la sua magnificenza.
Non solo nella terra di S. Vittoria, ma in più altre ancora della Provincia ha esercitato questa Chiesa il Diritto di erigere Chiese ed Ospedali, di conferire, istituire, e visitare parrocchie, Canonicati e Benefici, non che di giudicare le cause Ecclesiastiche e Beneficiali sino a quando è stata governata da Monaci Benedettini dipendenti allora dal celebre Monastero di Farfa: onde fu che di siffatte preminenze acquistasse essa il titolo di Cattedrale, siccome leggesi in qualche Pergamena conservata tuttora nel suo Archivio. Nell’erezione che ne fu fatta in Collegiata non perdè essa punto del suo lustro, avendo a Lei la Santa Memoria di Urbano VIII serbate intatte le onorificenze e i privilegi tutti quanti che da Lei si godevano nello stato di Chiesa Regolare: e se quel Capitolo non ha goduto il jus quasi episcopale che avevano i Monaci di S. Benedetto reggendo quella Chiesa, ha però continuato ad esigere gli antichi canoni da quaranta e più fra Chiese e Benefici: altri posti nella Diocesi Fermana, altri nell’Ascolana ed altri in quella di Montalto, sino al punto che la Chiesa stessa, di smembrata dalla Giurisdizione Farfense, fu assoggettata a quella dell’Arcivescovo di Fermo dall’Immortale Pontefice Benedetto XIV, e vi sono ancora i beneficiati e Mansionari di suo patronato eretti nella sua Chiesa Collegiata; senza che io dica della Matricità troppo cospicua e dell’antichissimo suo diritto di precedere ad ogni altra Chiesa del luogo.
Oltre a ciò la terra di S. Vittoria è una delle più ampie, più ben fatte e cospicue della mia Diocesi. I soi cittadini vivono con decoro ed il solo esercizio dei primi gradi di onore di quella Magistratura ha fatto prova di una Nobiltà bastante per l’ammissione all’Ordine Equestre dei Santi Maurizio e Lazzaro. La sua popolazione è sufficientemente numerosa, né manca d’artieri e fondachi, né di Monasteri d’Istituto Regolare, dacché ne ha cinque, compresi due di Monache.
Come che per altro sia meritevole per tanti riguardi la Chiesa di Santa Vittoria di venir decorata del Titolo di Basilica Minore, nonostante è giusta cosa, che una tale onorificenza le si accresca senza discapito, anzi salva in ogni sua parte la giurisdizione che ha sulla Medesima l’Arcivescovo di Fermo, ed al Clero Urbano di ogni atto, che dovessero venire insieme.
Stante ciò neppure io dissento, che il Priore e canonici della Detta Chiesa sian graziati dell’Indulto, del Zucchetto con maniche, e mozzetta di seta pavonazza nella guisa che da essi s’implora dalla clemenza del S. Padre.
Nel momoriale che riverentemente ritorno, nel punto che pieno di rispetto, e di ossequio profondo mi inchino umilissimamente.
Di Vostra Eminenza

domenica 12 febbraio 2012


DESCRIZIONE DEL MONASTERO FARFENSE
Tratta da “Santa Vittoria Astro dello Stato Farfense” (di Giovanni Settimi)

(...) Era lunga palmi romani 180 e larga 70; misure che ridotte a metri, dicono circa 45 per 18.
Divisa in tre navi, quella mediana doveva misurare palmi 30, pari a mt. 7 circa. Una descrizione assai particolareggiata la troviamo nell’Inventario del 1771: allora era ancora in piedi, ma era già stato stabilito di demolirla.
Seguiamo quel documento, riducendolo a forma schematica:
NAVE DI MEZZO: Copertura a tavole, lavoro eseguito da Giuseppe e Antonio Taliani, maestro d’ascia, e dipinte da Saverio Pica, di Ascoli, nel 1699.
A CAPO: vi è il Presbiterio, che “…sta elevato dal piano della chiesa due gradini… sopra il Presbiterio vi è un Cappellone corrispondente in lunghezza (?) e larghezza alla prima nave della Chiesa, ornato di varie statue di stucco e intagli a più ordini, rappresentati l’antiche figure dell’Eucaristico Sacramento nel Vecchio e nel Nuovo Testamento. Quivi ha sin’ora officiato il Capitolo che ha i suoi stalli in numero 17…”
È evidente l’identificazione di questo “Cappellone” con quello che conserviamo. Qui precisiamo che le pitture sono dovute a Francesco Braschi, eseguite nel 1658-59. Ma ci poniamo questa domanda: questo Cappellone faceva proprio parte della nave antica di mezzo, o non sarà piuttosto un’aggiunta posteriore? Forse in ultimo avremo elementi nuovi per suggerire una probabile risposta.
L’inventario del 1765 ci fa sapere che “nel mezzo del Cappellone è chiusa con una lapide la Bocca del cimitero…”
“Le colonne, che nella Chiesa sono sei, e delle quali cinque hanno l’apparato, avendo una il pulpito (altrove dice: è in mezzo alla Chiesa, dal corno del Vangelo), sono coperte di un telo rosso e di due mezzo zalli, lunghi braccia tre e mezzo…”
“Nei piani sopra gli archi della nave, e precisamente fra il Presbiterio e l’Altare di S.Giovanni Battista dal corno del Vangelo e del S.Rosario dal corno dell’Epistola, l’apparato  di nove teli…”
IN FONDO: “…si scende per mezzo di tre archi e di cinque gradini nel sotterraneo ove ha riposato sin qui il Corpo della nostra Santa. Il campanile sta elevato sopra…”
“Io sono stato a misurare l’altezza del muro che è dietro l’altare di S.Vittoria, che tra l’altare et il muro c’è la cassa dove per quel che intento, giace il Corpo di S.Vittoria: il quale muro è verso levante, e sopra sta alla terra in modo che li fondamenti di detta muraglia quasi sono al piano de li tetti delle case, in modo tale che subito che leva il sole batte nella detta muraglia, non solo al pari del piano della detta cappella di S.Vittoria, ma anche al basso, nella strada per la quale si entra in quella porta principale.”
NEL SOTTERRANEO: vi erano tre altari: nel mezzo quello di S.Vittoria, dinanzi all’Arca all’Arca; la “Disputa” di Nostro Signore a sinistra e delle Reliquie a destra. Le pareti erano tutte affrescate con episodi della vita di S. Vittoria e della Traslazione delle sue Reliquie.
NAVE SINISTRA
A CAPO: (dunque dalla parte del Presbiterio e del Coro) “Un piccolo Cappellone detto dei Santi Innocenti, perché raffigurante con pitture alle pareti il mistero della loro strage; ed in esso era l’altare tutto posto in oro della Santissima Vergine della Pace, poi trasportato in S. Maria della Valle”. Anche qui è evidente l’identificazione col resto che conserviamo. Ricordiamo però che tale Cappellone affrescato da Giacomo da Campli nel 1470, è “gotico” e su una lesena del muro della nave principale è incisa la data 1368: il che insinua che questo Cappellone sia stato costruito in quest’epoca, addossato al “Cappellone” più grande. Probabilmente in parte “sopraelevato” alla nave antica.
IN FONDO: a questa nave vi è una porta che per una scalinata lunga tutta l’estensione del sotterraneo e posta fuori i ricinti della Chiesa, conduce ad un’altra riguardante la strada per cui s’apre l’ingresso rispettivamente e l’uscita della Chiesa.
In questa nave sono gli altari dell’Addolorata di S. Antonio Abate e di S. Giuseppe tutti con cappella di legno dorato, stucchi, quadri, ecc..
A CAPO: di questa nave medesima, e precisamente tra il Cappellone dei SS.Innocenti e l’Altare della Santissima Vergine Addolorata, per una porta si va in sagrestia. Innanzi alla sagrestia, per una scala si sale alle stanze canonicali fabbricate e servite un tempo ai Padri di S. Benedetto ecc.. Non possiamo più dubitare della posizione del monastero. Era a sinistra, della Chiesa. E il Volume XXII, pag. 215 lo descriveva a levante, e a sinistra lo pone anche l’inventario 1765.
Segue ampia e particolareggiata descrizione, la quale ha servito di guida all’Ing. G.Chiuccarelli per la sua ricostruzione, che gentilmente ci ha permesso qui pubblicare: del che sentitamente lo ringraziamo.
NAVE DESTRA
A CAPO: vi è una porta grande e principale della Chiesa, ornata di marmi lavorati ad intagli di scelta manifattura.
“Sopra la medesima vi è un cappellone coll’altare dedicato a Gesù Cristo Crocifisso; sotto la descritta porta vi è l’altare di S. Gregorio; sotto il medesimo ve n’è un altro detto di S. Filippo.


Trascrivendo le osservazioni di un nostro cronista dei primi dell’ottocento, particolarmente riguardo alla Torre:
“Pietro abate fabbricò il Castello ed in esso un oratorio o chiesa in cui fu sepolto e la sua torre non era che un antico baluardo, nella cui parte inferiore vi era una cappella in cui riposavano le Sacre Reliquie di S.Vittoria. Probabilmente questo era l’oratorio fabbricato dall’abate Pietro, poiché in detta torre o baluardo, nella parte superiore vi era il Coro, l’organo e l’altare maggiore: e ciò durò sino al principio del secolo scorso, quando si cambiò aspetto alla Chiesa, e detto baluardo che prima era, diremo, principio, poi era sul fine, e il coro e l’altare maggiore fu trasferito in quella parte della chiesa antica che ancora rimane ridotta in una chiesuola detta della Resurrezione”.
Il che concorda con quanto lo Schuster scrive a proposito dell’oratorio e della torre di Farfa:
“Non è molto che abbiamo potuto riconoscere questo famoso oratorio, nell’interno stesso del campanile di Farfa: un torrione quadrato e massiccio. Esso è diviso in due piani con una volta a crociera: l’inferiore comunica col presbiterio della Basilica per mezzo di un cripto-portico, venendo quasi a formare una cripta sotto un primo oratorio eretto nel piano superiore”.
Il nostro cronista dice altrove:-
“Sopra la detta Cappella di S.Vittoria vi era anticamente l’altare maggiore, a cui si saliva dalla Chiesa per mezzo di due scale poste lateralmente”: ci richiama la cella di S.Maria in Pede Clentis, che tante relazioni ebbe con Farfa e con S.Vittoria. e ci fa pensare che in origine un’unica entrata era nella Torre, da cui si passava al Presbiterio e alla Chiesa, e al monastero. Pietro aveva costruito un castello monastero di difesa per quei tempi di invasioni barbariche.
Troviamo nel testamento di Anselmo da Smerillo, ben noto ai suoi tempi, steso il 2 luglio 1276 a fianco del suo letto, ove giaceva ormai infermo di corpo ma sano di mente, e disposto a deporre la preda, che lascia “cento soldi volterai per le mura della Chiesa di S. Vittoria” pro muris ecclesiae Sanctae Victoriae.
Non si sarà di quei tempi elevato il “Cappellone” che ancor oggi rimane, e aperta quella “porta principale adorna di marmi” sulla nave destra, di cui si è parlato?
Nel 1368 gli si sarebbe addossato il cappellone degli Innocenti, e del Crocifisso…nel secolo XIV altari e cappelle a diecine, dentro e fuori “…talché cambiò l’antica sua figura”, come conclude il cronista del miscellanea XX.

Ipotetica ricostruzione del Monastero Farfense - Modello in cartongesso (G.Paoloni)



sabato 11 febbraio 2012

Preghiera a Santa Vittoria
(da un antico manoscritto medievale)

Règum supremi Principis Sponsa, et Sionne respice       

 in nostra fortes irruunt da dexteram Victoria.              
Quae Trebulensi coetui lumen dedisti fidei                

 non trahat error impetra de veritatis semita.               
Quae in valle fletus virgines spe sociasti gaudii             

 non reddat hostis invoca promissionis anxios.
Quae charitate saucia Cor icta divo es vulnere,
 non ensis ora separet a Summi amore Numinis.
Cadunt superba saeculi, et conterantur culmina
 ut cecidere hostilia quae te necarunt proelia.
Et novo, dona, ut emicent ara tronusque lumine,
 tui triumphi meritis tuique amictus candidi.
Omnis Sacerdos lateri et Caesar orbis imperent
 nectat et omnes unicum pacis supernae vinculum.
Praesta, beata Trinitas; concede, simplex unitas,
 quae poscimus Victoria Te deprecante munera.
Tibi Patrique canticum Sanctoque da Paraclito
 Celesti in aula dicere per omne semper saeculum.
Amen.



Traduzione
O Sposa del Re dei Re, Vittoria, volgi dal cielo
il tuo sguardo: contro di noi insorgono i nemici, tu dacci forza contro di essi.
Tu che accendesti il lume della fede nel popolo di Trebula, non permettere che l'errore ci tragga dalla via della verità.
Tu che in questa valle di pianto stringesti a te d'intorno un coro di vergini con la speranza dell'eterna felicità, fa che il nemico non ci impedisca di raggiungere il premio promesso.
Tu che il cuore acceso di carità avesti squarciato da una ferita di divino amore, non permettere che la spada ci separi dall'amore di Dio.
Cadano le grandezze del mondo e siano calpestate le sue vanità come passò l'empia persecuzione che recise il tuo corpo.
Concedi che l'altare e il trono siano ancora onorati, pei meriti del tuo trionfo e della tua immacolata purezza.
Reggano il mondo il Sacerdozio cattolico e la civile autorità e tutti siano stretti nel sacro vincolo della pace.
O Dio, Uno nella divina Natura e trino nelle Persone, concedi le grazie che ti chiediamo per l'intercessione di Vittoria.
Amen.






venerdì 10 febbraio 2012

I FARFENSI SUL MATENANO
La forza bruta si rovesciò contro l’idea Cristiana, che ferveva nel cuore d’una Vergine. 
La Vergine cadde, ma non si piegò; il sangue fu seme; la favilla, incendio. E l’Eroina s’aderge in cielo col giglio del candore e la palma del martirio sopra infinite schiere di giovani nei secoli affluenti.
Monaci fuggiaschi dinanzi all’irrompere della barbarie saracena, spossati il corpo dal lungo peregrinare, stanchi lo spirito dalla angosciosa tristezza dei tempi, giungono finalmente sul Matenano.
I nuovi eneidi potranno finalmente sostare.
La basilica distrutta ai piedi dell’Acuziano rinasce sullo storico monte, cullata dall’Aso e dal Tenna.
Nella roccaforte del nuovo Presidato Farfense giunge, come una Dea, la Santa Vergine Romana!
Chiesa della Resurrezione
Dinnanzi all’Urna della Martire si dispiegano i secoli. Conti, Duchi e Marchesi; Longobardi, Franchi e Tedeschi; Vescovadi e città privilegiate, si contendono popoli e territori.
Ma al di qua dell’Appennino le schiere nemiche marcano il passo innanzi alla nuova barriera dello Stato farfense.
Come i ricostruttori di Gerusalemme, che con le sinistre impugnavan le spade e con le destre alzavano il muro, i Monaci, protetti – spesso miracolosamente – da Santa Vittoria, dissodarono e civilizzarono il Piceno, costellandolo d’Abbazie e di Paesi….