lunedì 26 novembre 2012

LE CAMPANE DI SANTA VITTORIA


"Quand’ero ragazzo mi dicevano sempre, a casa, che le campane di S. Vittoria erano le più belle dei dintorni: le più armoniose, le più sonore, le più possenti.
E anche le più pronte. Difatti l’annunzio della Vittoria Italiana nell’altra guerra lo sentimmo prima da lassù: poi un rincorrersi e un susseguirsi sonoro delle campane degli altri paesi vicini e lontani, un ondeggiare di suoni, un lietissimo rombare di colle in colle di villa in villa, come direbbe Leopardi.
Quell’impressione mi era rimasta nel cuore sempre: quando ebbi la fortuna di venire, l’estate scorsa per le Feste Centenarie, sentii da vicino rombi e suoni e canti di campane, l’impressione e il ricordo diventò certezza.
Sono le più pronte e le più possenti davvero.
È giusto che sia così. Come avrebbero potuto altrimenti i monaci annunziare la potenza della grande Abbazia a tutte le contrade circostanti? La voce delle campane è voce suadente e potente: è voce di Dio stesso e si rimescola il cuore a sentirla.
Ma non era solo la potenza di un’Abbazia, che dominava all’intorno. Era la potenza e la grandezza di una Santa, di quella che dà il suo Nome alla Città e ne è Gloria, Palladio e Difesa.
Se dovessero le campane giungere col suono ove giunge la fama e il culto di S. Vittoria, ohimé come sembrano piccole!
Io ho trovato qui nel Lazio il suo culto a Bagnoregio e altrove: vedo i Monti Sabini e so che non lungi da qui è Farfa, donde partirono i Monaci a fondare la città e a portare lassù il tesoro delle sue Reliquie.
S. Vittoria mi pare vicina: ieri sopra i monti che cingono il Lazio e l’Umbria, mi mostrarono due punte bianche di neve: erano le cime del Vettore e del Priora che sovrastano tante altre cime e si vedono da qui. Non giungerà per caso, mi son detto, anche il suono delle campane di S. Vittoria?
No, non vi giunge: ma l’amore alla Santa e il ricordo delle Feste, della grande devozione del popolo, sono sempre vivi nel mio cuore.
Ringrazio chi mi ha dato l’occasione e il piacere di parteciparvi: ringrazio anche a nome di un Parroco delle mie Diocesi, che rimase edificato nel vedere tante Comunioni, tanta compostezza in Chiesa, tanta folla.
A Dio piacendo tornerò ancora: la celeste Patrona di quelle nostre terre ci sia propizia e ci dia molte giovani cristiane davvero, pronte come Lei a vivere interamente per Gesù Cristo e morire, se è necessario, per Lui."
Orte li 5 gennaio 1952
 + Roberto Massimiliani
Vescovo di Civita C. Orte e Gallese


Fotografie gentilmente concesse dall'amico Dino Antonelli
        

martedì 16 ottobre 2012




J'AIME LA BIAUTE
Jean Christophe Leclère

à l'orgue de l'eglise S. Agostino  - Santa Vittoria in Matenano


lunedì 15 ottobre 2012

ORGANO S.AGOSTINO

 L'Organo della Chiesa di Sant'Agostino
 a Santa Vittoria in Matenano


Anonimo XV sec. -
Berardino Urbani (1603)  
Giuseppe Attili (1736-1748) -
Michel Formentelli (2009)


Caratteristiche:
Trasmissione: interamente meccanica.
Somiere principale in noce con 11 registri; piccolo somiere ausiliario ad alimentazione separata per Mi-Re-Do del Principale 16'.
Tre mantici cuneiformi originali collocati nel basamento dell'organo.
Pressione del vento: 59 mm. di colonna d'acqua.
Temperamento: mesotonico modificato, con 5 terze quasi pure: Do-Mi, Fa-La, Sol-Si, Re-Fa#, La-Do#.

Disposizione fonica:
Manuale (45 tasti, Do 1-Do 5, 1a ottavacorta)
Principale  16'
Principale  8'
Ottava  4'
Quintadecima  2'
Decimanona  1 1/3'
Vigesimaseconda  1'
Vigesimasesta  2/3'
Vigesimanona  1/2'
Voce umana  (dal Do 2)
Flauto in duodecima (Nazard)  2 2/3'
Cornetta (dal Do 2) 1 3/5'
Pedale  (17 tasti, Do 1-Sol# 2, ottava corta)
Accoppiamento permanente con il manuale
Accessori: Tiratutti a manovella (a partire dalla Quintadecima), Usignolo (tirante a sinistra della tastiera)


giovedì 14 giugno 2012

castellum farfense


























Nella suggestiva cornice del borgo medievale di S.Vittoria in Matenano si organizza per il quarto anno consecutivo, la festa medievale CASTELLUM FARFENSE a.D. 1236
Un tuffo nel passato per rivivere insieme due giorni di festeggiamenti; i banchi del mercato lungo la via Perticaria, le botteghe degli artigiani, le locande dove poter gustare le migliori prelibatezze locali. Il tutto allietato da giocolieri e saltimbanchi con le musiche dei BARBARIAN PIPE BAND.
Ed infine al calar della sera, nel Chiostro di Sant'Agostino, prende il via il suggestivo Banchetto dell'abate Oderisio, dove si potrà assaporare pietanze del tempo.
Vi aspettiamo a S.Vittoria!!!   25 e 26 agosto 2012


mercoledì 13 giugno 2012

...
Iste terrarum tibi praeter omnes
angulus ridet, regis et patrona
reddat ut laudes tibi Matenani
Montis imago.
Luce bis dona redeunte junii,
quae tulit nostram Trebulensi ad oram,
oppido sacros cineres daturos
nonem et ortum.

mercoledì 30 maggio 2012



  1. Documento dell'Archivio storico comunale di Ripatransone 
    (Supplicationes et memorialia 1621-23) pubblicato da Ginaluigi Spaziani, L'organo ad Ascoli Piceno dal XV al XIX secolo, Grottammare, Stamperia dell'Arancio, 2001, p.98

  • Per un'organo come quello de S.Francesco della Ripa
     o pure de S.Agostino de Offida .................................................................................... scudi      250
  • Per un'organo come quello de S.Angelo de Ascoli dico delli Monaci bianchi..............scudi      350
  • Per un'organo come quello de lo Duomo de Macerata
     o pure de S.to Agostino de Recanati.............................................................................scudi      800
  • Per un'organo come quello de lo Duomo d'Ascoli o pure de lo Duomo de Fermo............scudi    1100
  • Per un'organo come quello de la S.ta Casa de Loreto....................................................scudi     1200
  • Per un'organo come quello de S.to Agostino da S.ta Vittoria.......................................scudi     1250
  • Per un'organo come quello de S.Pietro de Gubbio.........................................................scudi     1800
  • Per un'organo come quello de S.Giovanni Laterano de Roma......................................scudi     3500

giovedì 5 aprile 2012

il ritmo di sant'alessio

Tra i primi documenti letterari del volgare si ricorda il testo giullaresco nominato il Ritmo Laurenziano che si fa risalire fra il il 1151 e il 1157, il Ritmo cassinese e il Ritmo di Sant'Alessio che risalgono alla fine del XII secolo. Ma tra i più belli è da ricordare il Cantico di Frate Sole, o Cantico delle creature scritto da San Francesco intorno al 1225.
Il Ritmo di Sant'Alessio è un componimento strofico narrativo di origine monastica, che venne composto nell'abbazia benedettino-farfense di Santa Vittoria in Matenano  da un giullare anonimo ed è databile alla prima metà del secolo XIII. Il componimento, che è formato da 257 versi il cui schema metrico è formato da lasse monorime composte da una serie di ottonari o novenari seguiti da una coppia di endecasillabi, narra solamente la prima metà della leggenda del santo: la nascita, il matrimonio, l'esortazione alla moglie, la fuga a Laodicea, la vita da mendicante.Secondo Bruno Migliorini[1] "Parecchi indizi confermano che l'autore del ritmo era della stessa regione da cui proviene la copia del poemetto, cioè marchigiano" e che "le numerose oscillazioni di forma che si osservano nel testo del ritmo saranno in parte dovute alla copiatura, ma altre è probabile siano mescidanze linguistiche dovute al giullare. Il quale di tanto in tanto adopera qualche verso intero o qualche parola in latino, parecchi latinismi e alcuni gallicismi".

Dolce, nova consonanza
facta l'ajo per mastranza;
et ore odite certanza
de qual mo mostre semblanza
per memoria retenanza.
Lu decitore non se cansa;
se·nne avete dubitanza,
mon vo monstra la clara a[manza]
a li dubitanti per privanza,
poi li derisi per usanza.
Tan [ . ] in altitudine et finivi,
co [ . . ] dessi et poi complevi.
Hore movo dico d'Efimiano,
de lu santu patriciu Romano,
como foe perfectu cristiano
et de tuttu Roma foi soldanu;
et poi foe riccu et multu potentissimu
de nobile slatta multu sapientissimu.
Magna dignitate avea
et grande onore possedea,
et patriciatu tenia
et in alta sede sedia,
et injustitia [si] ponia,
ja multu se mn'entremetia;
de tutta Roma si facia
ket amava et ket volia
et avea seco .iij.M. batzileri
ke·ttutti eranu soi fideli cavaleri.
Magnu bo[num] [triu]mpha[alem]
coronam habebat principalem.
Ma, ket era grande male,
una menoanza avea cotale:
ket no avea red nettale
quillu homo spiritale;
set onni die [ . . ]
Et avea .iij. mense adhordinate:
ad honor de Deu deTrinitate
facianu grande caritate.
Vissetava infirmitate
et prosperava in paupertate;
comparava ra [ . . ] te
et judicis necessitate;
orfani per veritate
facianu grande prosperitate;
[ a'vian]nanti tutti dava ospitiu,
et poi lo facia multu gram propitiu.
Tuttu questo adoperava
le [cose] de Deu ordenava.
Issu en astinentia stava
et onne jurnu dejunava;
ad soi possa [si] pregava,
et espressamente enterrogava
quanno ket filiu Deu li dava;
e la molie visi[tava] [chiese]
cui nomen vocabantur Anglaes.
Ammordoe se gianu continendo
e lu servitiu de Deu f[acendo],
la lor vita contenendo,
e·ll'unu e·ll'antru donu attendet;
e·ll'unu e·ll'antru [facia]nu questa prece:
purket Deu lo desse alcuna herede.
Questa prece non fal[lia];
deceano tuttavia:
«Sire Deu, tu nce pia,
la nostra prece a·tteve sia.»
Mai tantu lu pregaru pia,
questu clamore ad Deu salia,
e·ll'unu e·ll'altru ket petia
[tosta]mente lu exaudia.
Hor sempre sia glorificatu
quillu ket li l'àve datu!
Poi [lu] fante foe natu,
Alessiu for prenominatu.
Lu patre ne foe letificatu,
co tutta roma lu parentatu;
et tutta Roma era assai gaudente:
majore letitiane avea la gente.
E lu patre co la mama
lauda Deu ka bonum foe lu 'nditiu
ket fece Christu tantu de propitiu.
Poi lu fante fo crescutu,
a la scola foe transutu;
Deu stal' in atiutu,
quantu vole à provedutu.
Anni .xvij. complutu,
ballamente foe crescutu;
multu è·ssapiu devenutu.
Lu patre, poi ket li fa po [ . ]
como et quale conoscutu,
lauda Deu ka bonu fò lo enditiu
ket li fece Deu tantu de propitiu.
Multu se fae letu lu patritiu
et altru consiliu ce trova citiu;
lu vasu dell'auro britiu
no lo volza lassare sacrifitiu.
Ma Christu Deu a tuttesore
sì li stai custoditore,
ka non le vai per core amore
d'estu mundu traditore
ad quillu gillu, novo flore.
Pemsavali dare lu patre honore
d'estu mundu traditore;
feceli fermare uxore
ket de genere era 'mperatore
Mo·lla dite e scultate,
laonde Deu sempre laudate.
Ma poe ket tantu non potte stare
ke lu voleva puro exorare,
femina li fece fermare
ket em tutta Roma no avea pare.
Mai, quando la geo ad arrare,
quello vo volio recetare.
Fae sì grande laude fare
cket homo no lo potea estimare.
Doe thalomi fecenu adprestare,
ammerdura su levare.
Oveunqua eranu jullare,
tutti currunu per jocare:
cythari cum timpani et sambuci,
tutti giano cantando ad alta voce.
Lu sponsu e la sponsa foro adunati,
in thalamo for levati:
in templo sancti boniphati
loco forne portati.
Li sacerdoti forunu adprestati,
adberoli coronati.
Due corone de auro mundo tennu em capu,
ammerdora li cori de sotta li non capu.
Lu core de Alessiu santu
lo non recepia né tantu
de questo honore ke avea tamantu.
Lu patre co la matre et tutta Roma
cogitavanu cket fosse adfrantu.
Ma de quantu vede
sanctu Alesiu multupocu attende:
altru cogitava ket homo non attende.
Et mo que giva cogitando?
De la molge remaritando
et como et quintu la renuntiando
et ad Cristu la sponsando.
Questa bona cogitata
emtro em core li foe nata.
Poe la messa foe cantata,
grande oratione foe data;
sanctu Alesiu l'à sponsata,
em palatiu ne foe portata.
Lu patritiu abbe adunata,
tutta Roma convitata,
e lu cunventu grande factu era;
ma ki be sedde non se passe due era.
Lu cunventu se finao,
e lu sole tramontao,
e la nocte poi scurao.
Lu patriciu se levao
e lu filiu letamente si clamao,
a la reccla li favellao
et a la molge l'aviao.
Sanctu Alesiu si scultao,
le precepta de lu patre observao;
sacce, mica non morao.
Entro en cammora s'enn·entrao
et po' l'ussu dereto si 'mserrao.
Solu sanctu Alesiu co la molge resta.
Or la prese ad predicare et non dao resta.
Or la comenza ad predicare,
sapiamente ad favellare:
«Donna, voliote pregare:
una cosa te vollio mostrare,
set te lo plaquesse de fare,
estu meu comandu scultare.
Vuolliot'estuanellu dare,
estu balzu addomandare,
astu sudariu ad te lassare.
Pro Deu fàlume deservare.
Emfra me et te Deu ne sia mesu
emfratantu ke·tte sia erkesu.»
O poi ke questu audiu la sponsa çita,
cade em terra et foe stordita:
mae non se adcorgeva de quella gita
net emtemdeva de quella vita
là ove Alesiu [volea]la m[enare],
certo, et non sapia commo se fare.
Ma no, se quella remanea,
ora audtite si·cque facea.
Argentu et auru assai tollea,
quomo et quantu ad lue placea;
gesse fora et via tenea
em quillu ke spena avea.
Qui emcontrava et ki videa
umqua non lu reconosia;
et ergo ad Christu Deu placia
estu viaju ket facia.
Mai la molge non sapia
quomo et quintu sola remanea.
Frate, quanta avea la mente desposata,
quano sola resta la sponsata!
Ma mo, set quella remanea,
sanctu Alesiu non figia;
tutta nocte sì foio
et citu ad mare set ne gio:
quantu volze ket peteo
Deu tuttu li complio:
nave li apprestao, ove sallio
et grande pellagu transio:
et Christi li foe guida et bona etniçia,
ke lu condusse em portu de Lauditia.
Im Lauditia non demora,
geune em Siria em derectura,
là ove·nn'era bella figura,
de Christu Deu statura,
in una ecclesia per ventura
de Regina Mundi cura:
et era una figura in illo domo
ket non era facta ja per mano de homo.
Em quella estesse civitate
loco afflao sta sanctitate,
cui figura et claritate
foe de Christu veritate.
Adhoraola tre fiate
quanto l'era em voluntate.
Et mo, senjuri, or ascultate
quanta mustra bonitate.
Zo ket adbe em proprietate
tutte dede em caretate:
dispersit pauperibus divitia,
in eternum manet sua iustitia.
Et ipsu santu Alesiu se spoliao
multu ricke guarnimenta,
et vestiuse veramente
em figura d'um pezente.
«Quistu mondu m'è fallente,
refutar lo volio presente.»
De la syrica sua resplendente
non plaitava unquamente.
Era questa una civitate de Syria
là 've se spoliò la veste syrica.
Poi ket fò così adubbatu,
de cotale veste armatu,
co li poveri est assemblatu
et pelegrinu est clamatu.
Posqua vai dementicatu
et per lu mundu tapinatu;
ma certe de quantumqua ipsu mendicava,
multu pocu manicava,
tuttu quantu sì lo dava.
Quando giva mendicando,
lu su talentu condonanno,
en grande afflittione stando,
faci ennanti en sancti entrando,
[guiderd]one de Deu spectando:
et tuttavia se giva orando
et ad Deu se pigitanno,
et sempre gia comunicanno,
sicket certo tantu
servio puro et munnu et bellu senza vitio,
ket multu pl[acque] ad Deu lu so servitiu.

giovedì 16 febbraio 2012


Fermo li 30 giugno 1792. l’Arcivescovo di Fermo così scrive nella sua lettera di istanza:

Eminentissimo e Reverendissimo Pre Colendissimo,
la rispettosa istanza, che a pié dell’Augusto Trono è stata inviata al Santo Padre dal Priore e dai Canonici di Santa Vittoria, terra di questa mia Diocesi, onde vedere innalzata la loro chiesa Collegiata in Basilica Minore, non può da me essere considerata se non in aspetto favorevole, siccome tendente al maggior culto ed alla maggiore onorificenza di una Chiesa che fra le altre della stessa mia Diocesi si è sempre contraddistinta con le più rimarchevoli prerogative. Essendo di origine antichissima, sin dai primi lustri del secolo X, possiede essa il Corpo di S. Vittoria Vergine e Martire Romana, il di cui nome per le grazie e miracoli, che tutto dì ricevono i popoli anche lontani, è stato donato alla terra stessa, che come Protettrice l’onora in un nuovo Tempio pregevolissimo per la sua eleganza, e per la sua magnificenza.
Non solo nella terra di S. Vittoria, ma in più altre ancora della Provincia ha esercitato questa Chiesa il Diritto di erigere Chiese ed Ospedali, di conferire, istituire, e visitare parrocchie, Canonicati e Benefici, non che di giudicare le cause Ecclesiastiche e Beneficiali sino a quando è stata governata da Monaci Benedettini dipendenti allora dal celebre Monastero di Farfa: onde fu che di siffatte preminenze acquistasse essa il titolo di Cattedrale, siccome leggesi in qualche Pergamena conservata tuttora nel suo Archivio. Nell’erezione che ne fu fatta in Collegiata non perdè essa punto del suo lustro, avendo a Lei la Santa Memoria di Urbano VIII serbate intatte le onorificenze e i privilegi tutti quanti che da Lei si godevano nello stato di Chiesa Regolare: e se quel Capitolo non ha goduto il jus quasi episcopale che avevano i Monaci di S. Benedetto reggendo quella Chiesa, ha però continuato ad esigere gli antichi canoni da quaranta e più fra Chiese e Benefici: altri posti nella Diocesi Fermana, altri nell’Ascolana ed altri in quella di Montalto, sino al punto che la Chiesa stessa, di smembrata dalla Giurisdizione Farfense, fu assoggettata a quella dell’Arcivescovo di Fermo dall’Immortale Pontefice Benedetto XIV, e vi sono ancora i beneficiati e Mansionari di suo patronato eretti nella sua Chiesa Collegiata; senza che io dica della Matricità troppo cospicua e dell’antichissimo suo diritto di precedere ad ogni altra Chiesa del luogo.
Oltre a ciò la terra di S. Vittoria è una delle più ampie, più ben fatte e cospicue della mia Diocesi. I soi cittadini vivono con decoro ed il solo esercizio dei primi gradi di onore di quella Magistratura ha fatto prova di una Nobiltà bastante per l’ammissione all’Ordine Equestre dei Santi Maurizio e Lazzaro. La sua popolazione è sufficientemente numerosa, né manca d’artieri e fondachi, né di Monasteri d’Istituto Regolare, dacché ne ha cinque, compresi due di Monache.
Come che per altro sia meritevole per tanti riguardi la Chiesa di Santa Vittoria di venir decorata del Titolo di Basilica Minore, nonostante è giusta cosa, che una tale onorificenza le si accresca senza discapito, anzi salva in ogni sua parte la giurisdizione che ha sulla Medesima l’Arcivescovo di Fermo, ed al Clero Urbano di ogni atto, che dovessero venire insieme.
Stante ciò neppure io dissento, che il Priore e canonici della Detta Chiesa sian graziati dell’Indulto, del Zucchetto con maniche, e mozzetta di seta pavonazza nella guisa che da essi s’implora dalla clemenza del S. Padre.
Nel momoriale che riverentemente ritorno, nel punto che pieno di rispetto, e di ossequio profondo mi inchino umilissimamente.
Di Vostra Eminenza

domenica 12 febbraio 2012


DESCRIZIONE DEL MONASTERO FARFENSE
Tratta da “Santa Vittoria Astro dello Stato Farfense” (di Giovanni Settimi)

(...) Era lunga palmi romani 180 e larga 70; misure che ridotte a metri, dicono circa 45 per 18.
Divisa in tre navi, quella mediana doveva misurare palmi 30, pari a mt. 7 circa. Una descrizione assai particolareggiata la troviamo nell’Inventario del 1771: allora era ancora in piedi, ma era già stato stabilito di demolirla.
Seguiamo quel documento, riducendolo a forma schematica:
NAVE DI MEZZO: Copertura a tavole, lavoro eseguito da Giuseppe e Antonio Taliani, maestro d’ascia, e dipinte da Saverio Pica, di Ascoli, nel 1699.
A CAPO: vi è il Presbiterio, che “…sta elevato dal piano della chiesa due gradini… sopra il Presbiterio vi è un Cappellone corrispondente in lunghezza (?) e larghezza alla prima nave della Chiesa, ornato di varie statue di stucco e intagli a più ordini, rappresentati l’antiche figure dell’Eucaristico Sacramento nel Vecchio e nel Nuovo Testamento. Quivi ha sin’ora officiato il Capitolo che ha i suoi stalli in numero 17…”
È evidente l’identificazione di questo “Cappellone” con quello che conserviamo. Qui precisiamo che le pitture sono dovute a Francesco Braschi, eseguite nel 1658-59. Ma ci poniamo questa domanda: questo Cappellone faceva proprio parte della nave antica di mezzo, o non sarà piuttosto un’aggiunta posteriore? Forse in ultimo avremo elementi nuovi per suggerire una probabile risposta.
L’inventario del 1765 ci fa sapere che “nel mezzo del Cappellone è chiusa con una lapide la Bocca del cimitero…”
“Le colonne, che nella Chiesa sono sei, e delle quali cinque hanno l’apparato, avendo una il pulpito (altrove dice: è in mezzo alla Chiesa, dal corno del Vangelo), sono coperte di un telo rosso e di due mezzo zalli, lunghi braccia tre e mezzo…”
“Nei piani sopra gli archi della nave, e precisamente fra il Presbiterio e l’Altare di S.Giovanni Battista dal corno del Vangelo e del S.Rosario dal corno dell’Epistola, l’apparato  di nove teli…”
IN FONDO: “…si scende per mezzo di tre archi e di cinque gradini nel sotterraneo ove ha riposato sin qui il Corpo della nostra Santa. Il campanile sta elevato sopra…”
“Io sono stato a misurare l’altezza del muro che è dietro l’altare di S.Vittoria, che tra l’altare et il muro c’è la cassa dove per quel che intento, giace il Corpo di S.Vittoria: il quale muro è verso levante, e sopra sta alla terra in modo che li fondamenti di detta muraglia quasi sono al piano de li tetti delle case, in modo tale che subito che leva il sole batte nella detta muraglia, non solo al pari del piano della detta cappella di S.Vittoria, ma anche al basso, nella strada per la quale si entra in quella porta principale.”
NEL SOTTERRANEO: vi erano tre altari: nel mezzo quello di S.Vittoria, dinanzi all’Arca all’Arca; la “Disputa” di Nostro Signore a sinistra e delle Reliquie a destra. Le pareti erano tutte affrescate con episodi della vita di S. Vittoria e della Traslazione delle sue Reliquie.
NAVE SINISTRA
A CAPO: (dunque dalla parte del Presbiterio e del Coro) “Un piccolo Cappellone detto dei Santi Innocenti, perché raffigurante con pitture alle pareti il mistero della loro strage; ed in esso era l’altare tutto posto in oro della Santissima Vergine della Pace, poi trasportato in S. Maria della Valle”. Anche qui è evidente l’identificazione col resto che conserviamo. Ricordiamo però che tale Cappellone affrescato da Giacomo da Campli nel 1470, è “gotico” e su una lesena del muro della nave principale è incisa la data 1368: il che insinua che questo Cappellone sia stato costruito in quest’epoca, addossato al “Cappellone” più grande. Probabilmente in parte “sopraelevato” alla nave antica.
IN FONDO: a questa nave vi è una porta che per una scalinata lunga tutta l’estensione del sotterraneo e posta fuori i ricinti della Chiesa, conduce ad un’altra riguardante la strada per cui s’apre l’ingresso rispettivamente e l’uscita della Chiesa.
In questa nave sono gli altari dell’Addolorata di S. Antonio Abate e di S. Giuseppe tutti con cappella di legno dorato, stucchi, quadri, ecc..
A CAPO: di questa nave medesima, e precisamente tra il Cappellone dei SS.Innocenti e l’Altare della Santissima Vergine Addolorata, per una porta si va in sagrestia. Innanzi alla sagrestia, per una scala si sale alle stanze canonicali fabbricate e servite un tempo ai Padri di S. Benedetto ecc.. Non possiamo più dubitare della posizione del monastero. Era a sinistra, della Chiesa. E il Volume XXII, pag. 215 lo descriveva a levante, e a sinistra lo pone anche l’inventario 1765.
Segue ampia e particolareggiata descrizione, la quale ha servito di guida all’Ing. G.Chiuccarelli per la sua ricostruzione, che gentilmente ci ha permesso qui pubblicare: del che sentitamente lo ringraziamo.
NAVE DESTRA
A CAPO: vi è una porta grande e principale della Chiesa, ornata di marmi lavorati ad intagli di scelta manifattura.
“Sopra la medesima vi è un cappellone coll’altare dedicato a Gesù Cristo Crocifisso; sotto la descritta porta vi è l’altare di S. Gregorio; sotto il medesimo ve n’è un altro detto di S. Filippo.


Trascrivendo le osservazioni di un nostro cronista dei primi dell’ottocento, particolarmente riguardo alla Torre:
“Pietro abate fabbricò il Castello ed in esso un oratorio o chiesa in cui fu sepolto e la sua torre non era che un antico baluardo, nella cui parte inferiore vi era una cappella in cui riposavano le Sacre Reliquie di S.Vittoria. Probabilmente questo era l’oratorio fabbricato dall’abate Pietro, poiché in detta torre o baluardo, nella parte superiore vi era il Coro, l’organo e l’altare maggiore: e ciò durò sino al principio del secolo scorso, quando si cambiò aspetto alla Chiesa, e detto baluardo che prima era, diremo, principio, poi era sul fine, e il coro e l’altare maggiore fu trasferito in quella parte della chiesa antica che ancora rimane ridotta in una chiesuola detta della Resurrezione”.
Il che concorda con quanto lo Schuster scrive a proposito dell’oratorio e della torre di Farfa:
“Non è molto che abbiamo potuto riconoscere questo famoso oratorio, nell’interno stesso del campanile di Farfa: un torrione quadrato e massiccio. Esso è diviso in due piani con una volta a crociera: l’inferiore comunica col presbiterio della Basilica per mezzo di un cripto-portico, venendo quasi a formare una cripta sotto un primo oratorio eretto nel piano superiore”.
Il nostro cronista dice altrove:-
“Sopra la detta Cappella di S.Vittoria vi era anticamente l’altare maggiore, a cui si saliva dalla Chiesa per mezzo di due scale poste lateralmente”: ci richiama la cella di S.Maria in Pede Clentis, che tante relazioni ebbe con Farfa e con S.Vittoria. e ci fa pensare che in origine un’unica entrata era nella Torre, da cui si passava al Presbiterio e alla Chiesa, e al monastero. Pietro aveva costruito un castello monastero di difesa per quei tempi di invasioni barbariche.
Troviamo nel testamento di Anselmo da Smerillo, ben noto ai suoi tempi, steso il 2 luglio 1276 a fianco del suo letto, ove giaceva ormai infermo di corpo ma sano di mente, e disposto a deporre la preda, che lascia “cento soldi volterai per le mura della Chiesa di S. Vittoria” pro muris ecclesiae Sanctae Victoriae.
Non si sarà di quei tempi elevato il “Cappellone” che ancor oggi rimane, e aperta quella “porta principale adorna di marmi” sulla nave destra, di cui si è parlato?
Nel 1368 gli si sarebbe addossato il cappellone degli Innocenti, e del Crocifisso…nel secolo XIV altari e cappelle a diecine, dentro e fuori “…talché cambiò l’antica sua figura”, come conclude il cronista del miscellanea XX.

Ipotetica ricostruzione del Monastero Farfense - Modello in cartongesso (G.Paoloni)



sabato 11 febbraio 2012

Preghiera a Santa Vittoria
(da un antico manoscritto medievale)

Règum supremi Principis Sponsa, et Sionne respice       

 in nostra fortes irruunt da dexteram Victoria.              
Quae Trebulensi coetui lumen dedisti fidei                

 non trahat error impetra de veritatis semita.               
Quae in valle fletus virgines spe sociasti gaudii             

 non reddat hostis invoca promissionis anxios.
Quae charitate saucia Cor icta divo es vulnere,
 non ensis ora separet a Summi amore Numinis.
Cadunt superba saeculi, et conterantur culmina
 ut cecidere hostilia quae te necarunt proelia.
Et novo, dona, ut emicent ara tronusque lumine,
 tui triumphi meritis tuique amictus candidi.
Omnis Sacerdos lateri et Caesar orbis imperent
 nectat et omnes unicum pacis supernae vinculum.
Praesta, beata Trinitas; concede, simplex unitas,
 quae poscimus Victoria Te deprecante munera.
Tibi Patrique canticum Sanctoque da Paraclito
 Celesti in aula dicere per omne semper saeculum.
Amen.



Traduzione
O Sposa del Re dei Re, Vittoria, volgi dal cielo
il tuo sguardo: contro di noi insorgono i nemici, tu dacci forza contro di essi.
Tu che accendesti il lume della fede nel popolo di Trebula, non permettere che l'errore ci tragga dalla via della verità.
Tu che in questa valle di pianto stringesti a te d'intorno un coro di vergini con la speranza dell'eterna felicità, fa che il nemico non ci impedisca di raggiungere il premio promesso.
Tu che il cuore acceso di carità avesti squarciato da una ferita di divino amore, non permettere che la spada ci separi dall'amore di Dio.
Cadano le grandezze del mondo e siano calpestate le sue vanità come passò l'empia persecuzione che recise il tuo corpo.
Concedi che l'altare e il trono siano ancora onorati, pei meriti del tuo trionfo e della tua immacolata purezza.
Reggano il mondo il Sacerdozio cattolico e la civile autorità e tutti siano stretti nel sacro vincolo della pace.
O Dio, Uno nella divina Natura e trino nelle Persone, concedi le grazie che ti chiediamo per l'intercessione di Vittoria.
Amen.






venerdì 10 febbraio 2012

I FARFENSI SUL MATENANO
La forza bruta si rovesciò contro l’idea Cristiana, che ferveva nel cuore d’una Vergine. 
La Vergine cadde, ma non si piegò; il sangue fu seme; la favilla, incendio. E l’Eroina s’aderge in cielo col giglio del candore e la palma del martirio sopra infinite schiere di giovani nei secoli affluenti.
Monaci fuggiaschi dinanzi all’irrompere della barbarie saracena, spossati il corpo dal lungo peregrinare, stanchi lo spirito dalla angosciosa tristezza dei tempi, giungono finalmente sul Matenano.
I nuovi eneidi potranno finalmente sostare.
La basilica distrutta ai piedi dell’Acuziano rinasce sullo storico monte, cullata dall’Aso e dal Tenna.
Nella roccaforte del nuovo Presidato Farfense giunge, come una Dea, la Santa Vergine Romana!
Chiesa della Resurrezione
Dinnanzi all’Urna della Martire si dispiegano i secoli. Conti, Duchi e Marchesi; Longobardi, Franchi e Tedeschi; Vescovadi e città privilegiate, si contendono popoli e territori.
Ma al di qua dell’Appennino le schiere nemiche marcano il passo innanzi alla nuova barriera dello Stato farfense.
Come i ricostruttori di Gerusalemme, che con le sinistre impugnavan le spade e con le destre alzavano il muro, i Monaci, protetti – spesso miracolosamente – da Santa Vittoria, dissodarono e civilizzarono il Piceno, costellandolo d’Abbazie e di Paesi….