VITTORIA - Romanzo storico - cap. IV

 IV - LE ALTRE NOZZE

    Il corteo si era mosso dalla casa della sposa che già annottava.
    Nel cielo d'un azzurro ancor pallido spuntavano le prime stelle.
    Le vie strette e tortuose erano tutte illuminate dalla luce rossastra delle faci che aprivano il corteo. Attirati dai canti ad Hymene e dal frastuono dei timpani, molta gente che dopo quella soffocante giornata di luglio, approfittando della frescura vespertina, aveva invaso i giardini ed il Foro, accorreva in frotte dalle strade laterali.
    Lucilla, adagiata nella lussuosa lettiga, osservava ogni cosa dietro le tendine di bisso, mentre il cuore le balzava di gioia.
    Il suo sogno, il suo grande sogno d'amore, stava per diventare realtà. Manlio certamente l'aspettava già, dinnanzi all'atrio illuminato ed adorno di festoni della sua nuova casa. Le sembrava che i portatori avanzassero con una lentezza esasperante. Finalmente dopo una breve svolta, in fondo alla via che saliva leggermente, spiccarono sul cielo di velluto cupo, ormai gremito di stelle, le candide colonne della casa di Manlio. Il cuore di Lucilla accelerò i suoi palpiti.
    Ecco farlesi incontro sorridenti gli amici dello sposo che l'aiutarono a discendere ed in fine lo sposo stesso nel cui volto maschio e risoluto, la felicità di quell'ora aveva impresso una bellezza tutta caratteristica. Sui lineamenti di Lucilla invece si notava quella espressione di contenuta commozione, di modestia, di trepidazione che rende più bello il volto delle spose. Manlio le si fece incontro e, secondo l'uso, le domandò: "Chi sei?" Ed ella gli rispose con le antiche, ma sempre belle parole: "Dove tu Caio, ivi io Caia".
    Poi fu introdotta in casa, dove vennero compiuti i riti tradizionali: le fu presentata l'acqua, simbolo della purezza che avrebbe dovuto adornare la novella sposa, le fu consegnata una chiave, simbolo del dominio assoluto della donna nell'amministrazione domestica, infine fu fatta sedere per un momento su di un vello di lana quasi per farle capire che avrebbe dovuto attendere sempre volentieri ai lavori domestici. Dopo le solite offerte del latte e della focaccia, Lucilla mise la sua piccola mano in quella forte dello sposo, e così, insieme incominciarono il loro cammino nella vita, entrando nella casa nuziale.
    Gli invitati li seguirono. Il triclinio risplendeva di ori e di luci. Splendido era il vasellame che scintillava sulla mensa a ferro di cavallo, doviziosi i mosaici, che ornavano le pareti, addirittura fantastica la decorazione floreale, costituita interamente da ghirlande di rose porpuree, dal profumo inebriante. Ai lati della porta, due graziosi fanciulli in tunica bianca, ponevano sul capo di ciascun convitato una corona di rose, e avvertivano di varcare la soglia col piede destro.
    Tutta la nobiltà romana si era data convegno a quelle nozze. Pensose teste di cavalieri e di senatori si alternavano con quelle capricciosamente acconciate delle più belle patrizie dell'Urbe; tribuni militari, dalla corta, ma lussuosa tunica, accanto a giovani matrone dai candidi pepli scintillanti di gemme.
    Ma di tutti non possiamo, né dobbiamo occuparci, dato che troppo ci sta a cuore di ritrovare in mezzo a questa folla multicolore i personaggi che conosciamo.
    Proprio di fronte a Vittoria, più bella che mai nella sua tunica semplicissima, e sotto quelle rose che spiccavano sulla sua fronte candida, si trovava Eugenio: accanto a lui, Anatolia che a malincuore si era staccata da Cornelia, la quale, portando ancora il lutto, non partecipava a quella festa pagana. Non lontano da Eugenio, un giovane ufficiale, che Vittoria ricordava d'aver visto altra volta, non staccava un momento gli occhi da Anatolia. Questa sembrava turbata dall'insistenza di quello sguardo, pur restando serena ed affabile, tanto che la sua preoccupazione non sfuggiva a Vittoria. Sergio, vicino a lei, le rivolgeva domande senza tregua, mentre la sua giovane sposa si faceva notare, oltre che per la ricercatezza della sua acconciatura, per il suo finissimo spirito e soprattutto per la sua inesauribile, ma simpatica giocondità. Più silenziosa, quasi desiderosa di nascondere la sua fine avvenenza, Giulia, che non aveva potuto dispensarsi di assistere alla cerimonia nuziale di quella che era stata la sua amica d'infanzia, le sedeva accanto.
    I due sposi naturalmente occupavano il centro della tavola. Gli sguardi di tutti i convitati erano rivolti su di loro, in particolare sulla giovane sposa, raggiante di bellezza e di felicità. Il suo volto era tutto un sorriso. Si incrociavano gli elogi: "Che meraviglia! Che fiore! Che incanto! Manlio è il più felice dei mortali!" "Ne valeva la pena!" aggiungeva qualcuno, alludendo evidentemente alle difficoltà incontrate dallo sposo per venire accettato.
    Intanto, mentre venivano serviti vini prelibati e vivande squisite, i citaredi rallegravano il banchetto con le loro melodie. Poi fu la volta di alcune fanciulle siriache che, inghirlandate di fiori e avvolte in candidi veli, danzarono al suono dei loro crotali argentei. Gli applausi salirono al cielo.
    Quando però si fece avanti il poeta Licinio per declamare la sua ode in onore degli sposi tutti tacquero intenti. Egli sembrava ispirato: ora socchiudeva gli occhi, come per seguire il suo sogno; ora li fissava fiammeggianti sui convitati, ora sembrava sollevarli verso il cielo, come per supplicare gli dèi di non farlo morire folgorato da tanta bellezza. L'ode non mancava di qualche pregio e di una certa ispirazione sincera: tutti non poterono fare a meno di notare come quei versi d'occasione che esaltavano specialmente la bellezza della sposa, mentre in generale erano parole vuote di senso, nel caso particolare si addicevano molto bene al fascino veramente straordinario che l'avvenenza di Lucilla esercitava.
    Il suo volto dalle linee squisite, sul quale il "flammeum" nuziale gettava caldi riflessi rosacei era illuminato da due splendidi occhi d'un azzurro cangiante, ora chiari, trasparenti - due lembi di cielo sereno, come aveva detto il poeta - ora grigi come il mare in tempesta, ora ambigui, misteriosi, d'un viola vellutato, come le nuvole d'un lieto tramonto. I capelli, naturalmente inanellati, d'un biondo dorato, divisi semplicemente in sei trecce, secondo la tradizionale acconciatura delle spose, ricadevano sulla tunica bianca, che priva di qualsiasi ornamento, metteva bene in risalto la bellezza di quel corpo.
    Vittoria la guardava ammirata, quando d'un tratto le sembrò di vederle sorgere accanto un altro volto nobile e dolcissimo, dai grandi occhi neri, scintillanti di una gioia senza nome sotto la candida ghirlanda di rose. Lo riconobbe: era il volto di Agata, la vergine della Catacomba. Le sembrò quasi strano il ricordo di quel rito austero di rinunzia, di quegli altri mistici sponsali, in quel momento, durante quella festa di nozze pagane. Lo allontanò in fretta, quasi temendo di profanarlo. Non sapeva perché quella visione suscitasse in lei un sentimento inspiegabile e struggente, come di sottile nostalgia: quello stesso che le penetrava fino al cuore quando, nel mistico silenzio della Catacomba, gustava la gioia di stringersi al seno l'Agnello Immacolato divenuto suo cibo. "Esso è certo provocato dal fatto che Eugenio non può partecipare ancora con me a quel banchetto di grazia"; e si mise ad ascoltare attentamente Licinio che in quel momento declamava l'ultima strofa saffica e s'inchinava fra un subisso di applausi.
    Ora che il banchetto volgeva al suo termine i discorsi interrotti si riannodavano.
    - Il mio parere è - diceva il vecchio senatore Lucio Cassio, riprendendo l'argomento trattato poc'anzi - che la causa di tante calamità, va ricercata, piuttosto che in motivi del tutto trascendenti e molto probabilmente arbitrari, come quello dell'ira divina che grava su di noi - credo che gli dei poco o nulla si curino delle nostre vicende - vada ricercata, dico, in fatti e fenomeni spirituali noti a tutti, che...
    - Di quali sciagure vai tu parlando, nobile Cassio? - interruppe col suo solito cipiglio birichino la giovane Valeria. - Che io sappia, nessun cataclisma ci sovrasta.
    - Voi certo ignorate, signora - interloquì in tono rispettoso, ma grave un alto ufficiale adagiato accanto al senatore - che i barbari hanno accentuato la loro pressione ai confini dell'Impero e che al più presto o nell'autunno o nella prossima primavera l'imperatore stesso muoverà con almeno quattro legioni verso il Danubio per arginarne la marcia e rintuzzarne la baldanza.
    - Il forte corpo dell''Impero è ormai esausto per aver troppo donato e le energie di quei popoli giovani sono fresche e intatte. Le nostre legioni confinarie hanno del bello e del buono da fare per impedire che quella valanga passi il fiume - soggiunse Eugenio che fin'allora era rimasto taciturno.
    - La causa appunto di quella debolezza alla quale tu alludevi, nobile Eugenio, non va ricercata che nella disgregazione interna degli spiriti, i quali, non prestano più culto d'adorazione al nume di Roma e alle nostre antiche e venerande divinità, presi, come sembra, dalle solite astruse superstizioni orientali. L'editto del divino imperatore contro i cristiani mira appunto a ricostruire questa unità di culto, che va ricercata nella religione dei padri strettamente legata alle vicende dello stato. Abbiamo celebrato due mesi fa le feste del millenario: che gli dei ci concedano di vedere ancora una volta il trionfo dell'Urbe immortale! - E così dicendo alzò la coppa ricolma. Tutti applaudirono.
    Quando Cassio accennò ai cristiani, il cuore di Vittoria palpitò forte. La sua anima era tutta protesa, perché sperava che le sarebbe dato finalmente di sapere quale fosse l'opinione di Eugenio intorno alla sua fede. Ma Eugenio taceva, troppo assorto nella contemplazione della sua promessa. Gli toccava tanto di rado la ventura di poterla vedere così comodamente, che non voleva perdere neppure un istante di tale felice possibilità. L'avvolgeva tutta nella luce del suo sguardo, nel quale sembrava ardere un fuoco nascosto e col suo sorriso avrebbe voluto dirle tante cose che nessuna parola umana può esprimere, per vincere finalmente quella sua riservatezza che gli sembrava veramente eccessiva. Partecipando a quel banchetto di nozze aveva pensato che anche per lui sarebbe giunto il momento di veder coronato il suo sogno d'amore. Il suo amore! Il solo pensiero che lo preoccupava, il suo grande, unico amore! Che cosa c'è in Vittoria di così infintamente superiore? Egli la sentiva molto al disopra di sé...
    Vittoria si accorgeva di quell'incendio e, misto alla gioia, provava un sentimento confuso di paura. Nella corta tunica rossa ricamata d'argento; che gli lasciava scoperte le forti braccia di soldato, fatte per la spada e per lo scudo, sotto la corona di rose, Eugenio sembrava veramente la personificazione della forza e della gioventù. Ma il banchetto volgeva al termine.
    Vittoria non desiderava altro. L'atmosfera, divenuta pesante, l'opprimeva. La corona di rose, ormai appassite, le stringeva le tempia come un cerchio di ferro; aveva le guancie ardenti. Quando lo sposo alzò per l'ultima volta il calice, lanciando l'augurale "Vivat sequens!" tutti gli occhi, specialmente quelli di Eugenio si appuntarono su di lei. Ne fu vivamente contrariata.
    Ora le amiche della sposa si apprestavano ad accompagnare Lucilla nel cubiculo nuziale. Valeria aveva preso il braccio di Anatolia, e Vittoria stava per seguirle, quando si sentì chiamare. Eugenio, ritto accanto a lei, le accennava di aspettare un momento. Non era solo. Con lui stava l'alto ufficiale che Vittoria ricordava vagamente d'aver visto altra volta e che, durante tutto il banchetto, aveva continuamente, ma con palese insuccesso, corteggiato Anatolia.
    - Vittoria, ho da dirti qualche cosa - le disse Eugenio e, seguito dai due, s'incamminò verso una piccola sala di pretto stile siriaco, anch'essa tutta adorna di fiori, che s'apriva sul peristilio. La fanciulla respirò; si tolse la ghirlanda di rose. L'aria fresca della sera la rianimò in breve.
    - Vittoria, questi è il mio più caro amico e commilitone: il nobile Tito Aurelio - disse finalmente il giovane, mentre l'altro s'inchinava profondamente. - Egli ti chiede d'aiutarlo a raggiungere la felicità.
    Vittoria capì in un baleno. Riavvicinò mentalmente la scena rapidissima del Foro e quella del triclinio. Si trattava certamente di Anatolia.
    - Si tratta di Anatolia - soggiunse come un'eco Eugenio. - Da lungo tempo Tito l'ama più dell'anima sua, ma non è ancora riuscito ad averne una risposta soddisfacente. Anatolia si schermisce o tace. Aurelio dice che tu sola potresti fare qualche cosa per lui, dato che con te sola Anatolia si confida.
    - Si - disse l'ufficiale che fin'allora aveva taciuto a capo chino - tu sola, nobile Vittoria, potresti aiutarmi, te sola Anatolia ama quale sorella. - E i suoi occhi espressero una preghiera appassionata.ù
    - Perciò ti prego - soggiunse Eugenio - e sono certo che non vorrai negarmi questo favore, di andare al più presto a trovarla per difendere dinanzi a lei la causa del mio amico. Lo farai, non è vero?
    - Molto volentieri ti renderò questo servigio, nobile Tito, - disse Vittoria - e di tutto cuore spero di poter esserti utile, sebbene Anatolia non si sia confidata con me su questo argomento. Ella è di qualche anno maggiore di me e mi considera un po' la sua sorellina minore...
    - Pensa, Vittoria, - l'interruppe Eugenio - quale gioia sarà anche per te, se il sogno di Tito potrà realizzarsi. In questa stagione noi lasceremo Roma per la Sabina. I nostri poderi confinano. Dai monti vicini scendono le aure salutari, un fresco ruscelletto score proprio dinanzi alla villa ammantata di edera. Là le giornate trascorron serene e ancora più sereni sono i dolci tramonti e le serene trapunte di stelle... Quando vorrai, passeggeremo tutti e quattro assieme al canto dei grilli, fra gli olezzi del fieno falciato di fresco, sotto il cielo palpitante di luci lontane. Quando vorrai, nelle chiare giornate di ottobre, potrai sedere accanto ad Anatolia, all'ombra del pergolato carico di pampini e di uva dorata, per parlare degli anni beati della fanciullezza lontana, dinanzi alla tua casa di sposa, tutta coperta di foglie rosseggianti... Noi vi guarderemo felici, passeggiando sotto i mandorli ombrosi. I mesi e gli anni trascorreranno beati...
    Vittoria ascoltava in silenzio, con gli occhi perduti, dietro a quel sogno lontano. Un gaio incrociarsi di voci e uno scalpiccio di passi leggeri le annunziarono che le amiche della sposa stavano già per ritornare. Si alzò, seguita da Eugenio e da Tito Aurelio.
    La festa nuziale era terminata.



    

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