VITTORIA - Romanzo storico - cap. III

 III.  OLTRE LA MORTE
  
  La massima animazione regnava nel Foro, quando la lettiga di Vittoria, portata da quattro robusti schiavi, si fece largo tra la folla cosmopolita, che approfittando della giornata serena, si aggirava oziosa tra i templi e le basiliche, ascoltando e ripetendo le notizie della giornata o soffermandosi dinanzi alle botteghe dei gioiellieri e dei librai, che occupavano alcune case a piè del Campidoglio. La calca era straordinaria. Accanto al senatore, riconoscibile dalla larga striscia di porpora che gli orlava la toga, passava l'artigiano in tunica corta, che, prima di rincasare, voleva gettare uno sguardo in quello che a ragione veniva chiamato il cuore pulsante dell'Urbe; vicino al milite romano, bruno, tarchiato, avvolto nel "sagum", passegggiava il biondo germano dalle forme erculee e dalla lunga caratteristica spada, il rozzo gladiatore gallo sfiorava il nobile adolescente rivestito della pretesta.
    Greci, etiopi, arabi, bretoni, numidi si accalcavano in quella che era ormai la metropoli, cioè la città-madre e le più diverse loquele vi si incrociavano. Ogni tanto quella folla eterogenea faceva largo ad una lettiga signorile dalla quale sporgeva la testa abbigliata d'una matrona o al cocchio di una vestale che, completamente velata e preceduta dai littori, se ne tornava alla casa di Vesta.
    Il sole, volgendo al tramonto, baciava con i suoi raggi i candidi frontoni dei templi e le quadrighe dorate che, al di sopra dell'attico, sembravano slanciarsi verso l'azzurro ancora vivido del cielo, mentre la folla e le gradinate dei palazzi e dei templi erano giù immerse nell'ombra.
    Nella sua lettiga, cullata dai ritmici movimenti dei portatori, Vittoria non si curava della folla che la circondava e quasi la sommergeva, come le onde di un mare in tempesta.
    Si, a quell'ora avrebbe certamente trovato in casa Anatolia e Cornelia e con loro avrebbe potuto parlare liberamente di quell'avvenimento che aveva segnato una svolta così decisiva nella sua breve vita.
    Anatolia, di nobile famiglia patrizia, orfana fin dalla più tenera età, aveva conosciuto Vittoria quando questa non contava ancora cinque anni e, affascinata dalla sua grazia e dal suo candore, aveva stretto ben presto con lei una fraterna amicizia.
    Cristiana fin dalla nascita, la fanciulla pensò subito di dividere con la sua dolce sorellina d'adozione, che ne era priva, il grande tesoro da lei posseduto; infatti, l'anno seguente, nella notte di Pasqua, Vittoria fu rigenerata nelle acque del battesimo, all'insaputa dei suoi genitori, e partecipò per la prima volta al Banchetto Eucaristico. Da quel giorno Anatolia fu l'alleata della sua sorella spirituale: era lei che, con la scusa di passeggiate e di gite, le otteneva il permesso di allontanarsi da casa, quando la sua assenza per la partecipazione ai divini misteri, si sarebbe fatta troppo notare; era lei che le aveva procurato una complice preziosa in una schiava cristiana della casa Fabia, la Siriaca Miryam che l'aiutava ad effettuare il più occultamente possibile, le sue gite mattutine al "coemiterium". A lei infine Vittoria si rivolgeva quando aveva bisogno di conforto e di aiuto. Ma tutto questo Anatolia non avrebbe potuto farlo agevolmente se non le fosse stata accanto una persona incomparabile: Cornelia.
    Dopo la morte dei suoi genitori, Anatolia era stata accolta in casa della zia materna, la quale usciva da una famiglia di antiche e gloriose tradizioni cristiane. Contava fra i suoi antenati il centurione Cornelio convertito da S. Pietro e narrava spesso, come aveva appreso bambina dalle labbra della mamma, insieme alle prime parole di vita, che più volte il Principe degli Apostoli era stato ospite della casa dei suoi padri, a "Vicus Patricius".
    Era andata sposa giovanissima a Secondiano, patrizio valoroso e leale, il quale però non condivideva la sua fede. Ma ben presto la grazia di Dio si manifestò alla sua anima retta, in uno dei modi più impensati, che sono veramente i capolavori della varietà e della adattabilità del lavoro divino.
    Infatti il giovane Secondiano, leggendo attentamente la IV ecloga di Virgilio nella quale si parla di una vergine-madre e di una nuova età dell'oro, fu colpito da quei versi ispirati e ben presto aperse gli occhi alla luce. Accusato da uno zelante delatore e processato quando già era finita la persecuzione di Massimino, cadde da prode lasciando la giovane sposa e tre teneri bambini.
    L'operaio dell'ultima ora riceveva per primo la mercede.
    Cornelia viveva ora soltanto per i suoi bambini che educava nella fede di Cristo e nel ricordo del babbo martire, tutta dedita alle occupazioni domestiche e alle opere di carità, ormai dimenticata dalla brillante società patrizia.
    Dinnanzi alla casa del martire Secondiano, situata alle falde del Gianicolo, si fermava appunto la lettiga di Vittoria, che abbiamo lasciata nel trambusto del Foro.
    L'ostiario si affrettò ad aprire la porta e, ben conoscendo la fanciulla, l'invitò a seguirlo attraverso l'atrio ormai tutto fasciato d'ombra, nel vasto "tablinum", avvisandola contemporaneamente che le padrone non erano ancora rientrate, ma che non avrebbero ritardato. Poi si ritirò.
    Vittoria un po' spossata dalle vive emozioni di quei giorni, si lasciò cadere su di un basso sgabello ornato di borchie dorate e si guardò intorno. Oh! quella stanza accogliente la conosceva ormai bene, ma in quell'ora suggestiva forse non l'aveva mai vista! La vivida e pur tremolante luce dei candelabri di bronzo posati su apposite mensole, metteva qua e là in risalto alcuni particolari dei magnifici mosaici che ornavano le pareti, sulle quali d'altra parte, una doppia fila di colonne di porfido sorreggente la volta, disegnava ombre irreali. Ai bagliori teneri e caldi delle varie fiammelle, un grazioso amorino d'avorio che spiccava in una nicchia nera sembrava animarsi. Nel silenzio della sera si sentiva soltanto il grato bisbiglio della fontana del peristilio e qualche lontano canto di uno schiavo al lavoro.
    Vittoria appoggiò le braccia sulla tavola marmorea, riccamente intarsiata di tartaruga e di pietre dure, che stava collocata nel centro della stanza e gli occhi fissi sulla tremolante fiammella di una lucerna che le era dinnanzi, riandò col pensiero alle tumultuose giornate trascorse.
    Sentiva nel suo animo un indefinibile senso di trepidazione, di attesa, una capacità immensa di donarsi e un desiderio acuto di essere amata. Il suo cuore era molto simile ad un'arida terra assetata che beve insaziabile l'acqua che la irrora. Ecco: ora l'amore era venuto. Le avrebbe riempito il cuore, avrebbe placata la sua ansia di amare? Il cammino della vita era lungo e spesso tenebroso e lei si sentiva tanto debole per affrontarlo da sola. Sarebbero andati invece insieme, tenendosi per mano, verso la luce, verso la casa del Padre, verso la sala del festino pronta pel banchetto nuziale. L'amore che aveva creato i mondi, che aveva dato all'uomo "l'adiutorium simile sibi", perché aveva pietosamente compreso la grande solitudine dell'anima umana, non le concedeva soltanto un compagno di viaggio, ma un'anima da portare a Lui. Eugenio era bello, nobile, ricco e leale: ma non era cristiano. Ella non gli aveva ancora confidato il suo segreto, attenendosi ai consigli ricevuti, ma era certa che egli, retto com'era, l'avrebbe facilmente compresa: poi dolcemente ella avrebbe accostato a quella dello sposo la sua fiaccola ardente e così uniti in un medesimo amore, con le lampade accese, avrebbero atteso il Signore. Non aveva detto il grande Apostolo che "il marito infedele sarebbe stato santificato dalla moglie fedele"?...
    Vittoria rivedeva con gli occhi della fantasia la soave figura di Cecilia... Pensava con dolcezza allo scorrere beato della loro vita futura nella bella casa di Eugenio sul Viminale, avvolta da quell'amore tenero e appassionato che egli le manifestava fin d'ora, amore benedetto e consacrato da Dio.
    Oh! Vittoria! come è vero che le vie degli uomini non sono le vie di Dio!
    Tu non entrerai mai nella bella casa di Eugenio, tutta ammantata di verde e risplendente di ori, perché sarai la sposa di un Re immensamente ricco della sua povertà, che ti ama già, come sua fidanzata, di un amore eterno: e tu te ne sei accorta! E quelle parole di vita che sogni di sussurrare al tuo sposo nell'intimità della camera nuziale, gliele dirai, si, ma dai regni lontani e misteriosi della Vita e non già velata del "flammeum" di sposa, bensì irrorata del tuo stesso sangue di vittima pura. Troverai finalmente l'Amore, quello che ti appagherà; e quest'Amore sarà più forte della morte...
    Un grido festoso scosse la fanciulla assorta: si volse e vide il piccolo Marco, il monre dei figli di Cornelia, correrle incontro cn le braccine aperte. Era un bel bimbo di circa tre anni: aveva ricciuti i bruni capelli, vermiglie le labbruzze schiuse in un sorriso birichino e le guance simili a due pesche vellutate.
    Vittoria lo strinse appassionatamente a sé, poi se lo mise sulle ginocchia, appoggiando la sua guancia ardente a quella fresca del bimbo. Oh! quanto amava i bambini!
    Quale felicità suprema stringere fra le sue braccia una creaturina palpitante, bisognosa di ogni cura, che l'avrebbe chiamata mamma; sentirne i primi innocenti balbettii, sorreggerne i primi passetti incerti, vedere sul visino di quel tenero angioletto, disegnarsi lentamente i lineamenti del viso amato. Il Signore non le avrebbe potuto mai chiedere il sacrificio che aveva chiesto ad Agata, a Giulia, perché ella amava troppo appassionatamente i bambini...
    Era proprio tutta intenta a decifrare l'ingenuo chiacchierio del piccolo Marco, quando sentì risuonare sotto l'atrio il passo leggero di Anatolia, che poco dopo infatti entrò nel "tablinum" a salutarla.
    Dopo averla abbracciata, Anatolia l'allontanò da sé come per osservarla, poi disse in tono scherzoso e festante:
    - Come si vede che la mia sorellina sta per diventare qualche cosa di importante! Come sei bella oggi!
    Vittoria arrossì lievemente e abbassò gli occhi, come per controllare se ciò che le diceva l'amica corrispondeva a verità. Le pieghe della candida tunica erano fermate quel giorno da fibbie d'oro tempestate di gemme, mentre un sottile cerchietto, egualmente d'oro, brillava sui folti capelli bruni.
    Marco continuava a folleggiare fra le due fanciulle.
    Anatolia sedette accanto all'amica e, come per scusarsi d'averla fatta a lungo aspettare, disse:
    - Ho tanto tardato perché la diaconessa Flavia mi ha chiesto di fermarmi un po' ad aiutarla. Sembra che la persecuzione stia per incrudelire ancor più e che l'imperatore esiga fra non molto che tutti i cittadini si rechino pubblicamente a sacrificare, pena la morte o l'esilio. Anche nell'Africa e nelle Gallie l'editto è entrato in vigore... Corre voce che persino Origene sia stato arrestato.
    - Mi hanno detto che il santo vescovo Cipriano, pregato dai suoi, si è allontanato da Cartagine, per misura di prudenza. Che tempra di vescovi, lui e Dionigi d'Alessandria! Che sciagura per il loro popolo se li uccidessero! Eppure Saturnino di Tolosa è stato giustiziato, ma i suoi figli sono più saldi e più compatti che mai...
    - Il Signore è con noi - concluse, vedendo il volto di Vittoria impallidire, mentre un'ombra di mestizia le velava i limpidi occhi, e aggiunse subito: - Ora raccontami di te.
    - Oh! Anatolia, non ho molto da raccontarti. La sera stessa del mio colloquio con Eugenio, la mamma mi fece capire ch'egli mi aveva chiesto in isposa. Prima di dare una risposta, volli parlare col santo prete Cornelio, che mi sembra veramente il continuatore fedele dell'opera di Papa Fabiano nell'anima mia. Ero molto angustiata perché Eugenio non è cristiano. Glielo dissi: Egli, guardandomi profondamente negli occhi, mi posò una mano sul capo e poi mi disse con una voce nella quale tremava una commozione insolita:
    - Non temere, Vittoria. Iddio ti guida per mano: abbandonati a Lui. Sei come una bambina, fra le braccia del più dolce dei padri, in una notte buia. Tu non vedi: Egli si. Qualunque cosa accada, Egli sarà in te glorificato. Che tu possa essere col Suo aiuto, sempre una vera Vittoria! Poi mi benedisse.
    E notando l'espressione dell'amica, aggiunse: 
    - Perché mi guardi così? Forse presto anche tu... - ma s'interruppe, colpita dall'indefinibile sorriso di Anatolia. Abbassò il capo e disse semplicemente:
    - Prega per me.
    - Il Signore sarà con te - rispose come un'eco la dolce voce d'Anatolia.
    Seguì un gran silenzio.
    In quella apparve Cornelia, e Marco, che era andato a cercarla, sorretto dalle braccia materne.
    Una somiglianza vivissima si notava subito tra il bimbo e la madre: gli stessi capelli, gli stessi occhi, la stessa bocca. Se nonché nel volto della giovine donna, sotto la bella chioma bruna acconciata molto semplicemente, quei due occhi splendenti si velavano di tanto in tanto di una pacata mestizia, mentre la piccola bocca, dal taglio delicato e pur volitivo anche nel sorriso, sembrava suggellare un immenso dolore. Se non fosse stato per questo precoce e pur solenne velo di melanconia che sembrava ravvolgerla e per la semplice austerità delle sue vesti vedovili, la si sarebbe detta ancor fanciulla.
    Senza deporre in terra Marco, baciò lievemente Vittoria sulla fronte e, poi le disse con tono affettuoso, ma insolitamente grave:
    - Mia piccola Vittoria, ho tante cose da dirti che mi salgono dal profondo del cuore. Non credere però che voglia farti una predica - soggiunse sorridendo. - Io penso che tu abbia già compreso quale grazia ti fa il Signore nel metterti accanto un'anima da condurre a Lui. Soltanto inteso così l'amore salva e redime. Soltanto intesa in questo senso l'unione è veramente perfetta e non resta per sempre uno struggimento irraggiungibile. Come è bello pensare che alla base di questa unione c'è un poetico e non per questo meno reale scambio di carità: la donna che ha bisogno della fortezza dell'uomo, questi della gentilezza della donna! - E abbassando la voce soggiunse, come parlando a se stessa: - Iddio ci aveva dato la grazia di intendere queste cose.
    Le due fanciulle l'ascoltavano in silenzio. Marco quasi conscio della gravità di quelle parole, aveva posato il capino assorto sul seno materno.
    E Cornelia continuò con voce spezzata, come afferrata dall'onda dei ricordi.
    - Era una sera dolce come questa; proprio come ora, stavo seduta nel "tablinum" con un bimbo sulle ginocchia, Paolo aveva allora tre anni, quando un passo pesante che risuonava nell'atrio mi fece sobbalzare. Era un soldato cristiano, di guardia al carcere Tulliano che veniva ad annunziarmi che la sentenza, contrariamente al previsto, sarebbe stata eseguita immediatamente. Senza ben sapere quel che mi facessi, volai al Tulliano. Secondiano non era mai stato così calmo e sereno. Inginocchiato sul pavimento di quella cella oscura, le braccia in croce,  pregava. Pregava di certo per la sua sposa, per i suoi bambini; pregava di certo il suo fratello maggiore, che prendeva il suo posto, ora che egli doveva partire. Feci appena in tempo ad abbracciarlo. Non dimenticherò mai l'espressione del suo volto. Mi disse:
    - Cornelia, il Salvatore ci separa, per congiungerci in una più intima unione. Il Suo amore ci terrà legati oltre la morte. Ti sarò sempre vicino.
    "Poi i soldati vennero  a prenderlo. Io avrei voluto seguirlo: me l'impedirono. Mi sentii mancare. Uno strazio indicibile mi lacerava. Ma poi, quando strinsi fra le braccia il capo insanguinato, quando composi in pace il suo corpo glorioso, sentii una grande gioia inondarmi l'anima. Ero sola, con i miei tre bambini, sfuggita da tutti per la mia stessa sventura. Sentii la sua voce:
    - Ti sarò vicino. Il nostro amore vincerà la morte.
    - Egli non è morto per me. La nostra vita è nascosta nel cuore di Cristo. Là ci ritroviamo. Là le nostre anime sono infinitamente più vicine di quanto non lo erano quaggiù.
    Tacque.
    Grosse lacrime cadevano dagli occhi di Vittoria e brillarono come gemme sul tavolo di marmo, intarsiato di tartaruga e di pietre dure.






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