VITTORIA - Romanzo storico - cap.II

 II.  UN TRAMONTO

    E' un dolce tramonto di maggio.
    Nel giardino della casa dei Fabi, due figure si staccano dal fondo scuro dei pini e dei cipressi come due bianche statue viventi.
    Sono Vittoria e sua madre Livia Plautilla. Quest'ultima, seduta su di un banco di pietra, mezzo nascosto dalla madreselva e dal capelvenere che si abbarbica alle pareti esterne della casa, ha lasciato cadere sulle ginocchia il lavoro che non si presta certo ad essere eseguito in quella luce incerta e guarda Vittoria, la quale, ritta presso la fontana - una capace vasca di porfido nella quale un grazioso puttino di bronzo vuota senza interruzione la sua anfora cesellata - spruzza con un lungo ramo di pino tutto stillante d'acqua, i gigli che fioriscono in abbondanza d'intorno.
    Tutto è silenzio.
    Soltanto il mormorio argentino della fontana e il pigolare degli uccellini che, nascosti nelle chiome dei cipressi salutano il morire del giorno, si fondono in un'unica voce, la quale accresce maggiormente, la solenne e pur mesta bellezza dell'ora.
    Livia Plautilla guarda la figliuola con lo sguardo carezzevole di una madre che ha riposto in quell'unico frutto del suo amore tutte le sue compiacenze e pensa, non senza una certa malinconia, che presto, forse in un tramonto come questo, Vittoria varcherà per sempre la soglia della casa paterna al chiarore delle fiaccole nuziali, per divenire la luce e la gioia di un'altra casa.
    La vita è fatta così. Quando il frutto diventa maturo, come canta l'antica poetessa, c'è un giovine garzone che vinene a staccarlo...
    Vittoria è bella, buona e presto, ahi! troppo presto, sarà la sua volta.
    Tanto buona nei suoi atti, tanto elevata nei suoi sentimenti che Livia Plausilla la sente persino un po' superiore a se stessa.
    Ecco: l'unico suo difetto è quello di impuntarsi in talune idee, senza dubbio un po' originali. Ad esempio, quel suo amore per tutti gli straccioni che pullulano in Roma, quella sua eccessiva tenerezza per gli schiavi... Per farle piacere, Fabio ha dovuto legalmente affrancare tutte le sue schiave particolari... E' vero che esse sono rimaste con lei e la servono con raddoppiato amore... D'altra parte suo padre ha tanto curato la cultura di quell'unica figlia, specie quella filosofica, che se anche Vittoria si è formata un sistema filosofico suo particolare, in fondo ciò rientra in un certo modo nei suoi diritti. In Roma è tanto diffusa la moda di seguire questa o quella teoria... Fabio vuole che sua figlia goda della massima libertà; tanto è vero che non l'obbliga neppure ad accompagnare la madre, quando si reca a sacrificare a Giunone o a Minerva; e neppure le impone di assistere a tutti gli spettacoli del Circo.
    Francamente in quanto a questa Livia non comprende la figlia: che una fanciulla di quattordici anni rifugga da ogni sorta di divertimento, le sembra un po' troppo.
    E poi Vittoria, a suo giudizio, è esagerata nelle sue amicizie: quella con Anatolia, per esempio, le sembra passi i limiti; non solo, ma non comprende come Vittoria possa trovare tanto godimento nel frequentare la casa di questa, dove Cornelia, vedova di recente, non si dedica ad altro che all'educazione dei suoi tre bambini, e alla cura della casa, secondo l'antico costume romano, ormai caduto in disuso...
    E quel che è peggio, sembra che lo sposo di Cornelia, Secondiano, sia stato processato sommariamente e giustiziato, perché accusato da appartenere alla superstizione cristiana. Ora che Decio ha promulgato un nuovo editto di persecuzione, quella frequenza potrebbe essere pericolosa...
    Ma Vittoria non ha grandi desideri ed è tanto cara, che nulla le si può negare... Tutte queste cose, pensa Livia Plausilla, mentre la luce d'oro che filtra attraverso le chiome degli alberi, scherza sulla sua veste bianca e cinge il suo capo come di un fulgido diadema. E' giovane Livia Plautilla, tanto giovane che la si direbbe piuttosto la sorella che la madre di Vittoria. Ha i lineamenti statuari sotto la massa dei capelli corvini rialzati sul capo con arte squisita e raccolti da un cerchietto d'oro. Veste una tunica bianca, drappeggiata intorno alla snella persona con sobria ma raffinata eleganza. Le armille d'oro che le ornano i polsi , le gemme che le tempestano i calzari, dicono chiaramente che ella ama circondarsi del fasto più opulento. Due dolci occhi azzurri però rivelano ad un osservatore attento che il suo animo si è serbato semplice in mezzo a tanto sfarzo. Se fossero illuminati dalla stessa splendida luce interiore, quegli occhi sarebbero perfettamente simili a quelli di sua figlia.
    Questa ha finito di innaffiare le aiuole, ma si attarda ancora a contemplare i gigli. Non sa perché, questo fiore esercita su di lei un fascino tanto profondo. Ne ammira lo stelo snello, elegante come un candeliere d'argento, ne aspira il profumo inebriante, ma soprattutto è affascinata da quel suo candore che non è neppure colore, ma luce e che in quel chiarore già incerto sembra ancor più immateriale.
    Ora, dal cespo che fissa ammaliata le par di vedere emergere un volto soave, illuminato da due occhi bruni, scintillanti sotto una corona di candide rose, che la fissano dolcemente. Sì, quegli occhi li conosce: sono quelli di Agata, la vergine della Catacomba...
    In fondo al viale dei cipressi del giardino di Fabio, da una candida balaustra di marmo, si godeva la visione di buona parte dell'urbe. Vittoria, che quasi ogni sera si lasciava attrarre dalla malia di quello spettacolo, si diresse da quella parte. Il sole tramontava in un modo meraviglioso. L'immenso disco si era per metà nascosto dietro il Gianicolo e la volta del cielo fiammeggiava. Le colonne, i frontoni dei templi si erano magicamente tinti di porpora e d'oro. Man mano che il sole calava dietro i monti, il bagliore sanguigno cresceva e si diffondeva sempre più finché ravvolse tutti i sette colli.
    La fanciulla che aveva tante volte ammirato quello spettacolo, si sentì turbata e, senza capirne il perché pensò all'editto di Decio e alla nuova persecuzione che già infuriava.
    Già il santo Pontefice Fabiano, il padre buono che l'aveva immersa bambina nelle acque rigeneratrici e le aveva insegnato le prime parole della vita, aveva posato sul ceppo il capo venerando, lasciando i suoi figli senza Pastore. Una lunga processione di preti, di accoliti, di vergini, alla luce fumosa delle torce, aveva doposto il suo corpo in un loculo del cimitero di Callisto. Papa Fabiano riposava ora in pace in attesa della risurrezione.
    Non sarebbe toccato forse anche a lei, di testimoniare il suo amore con l'effusione del sangue? E quell'incendio del quale sembrava ardere l'intera città le pareva quasi un presagio di passione e di gloria.
    Appoggiata alla balaustra di marmo, gli occhi perduti in una visione, quasi ammaliati dalla presenza di un essere invisibile a tutti, ma a lei estremamente caro, la fanciulla non si accorse che un'altra persona le stava vicino: Eugenio.
    Il giovane tribuno la guardava con un'espressione di schietta ammirazione, tanto che sotto quello sguardo Vittoria si sentì lievemente impacciata e si volse verso il giardino dove, in fondo al lungo viale di cipressi, dinanzi al triclinio sedeva Livia Plautilla. Ma ora accanto alla mamma, la fanciulla vede ergersi la maschia e nobile figura di Fabio che discorreva sottovoce con lei.
    - Siamo tornati insieme dal Foro, Vittoria, - disse Eugenio a mo' di spiegazione - e Fabio mi ha permesso di entrare e salutarti. Ma ti ho vista così assorta che non ho osato farlo subito.
    - Lo spettacolo del sole che si nasconde dietro il Gianicolo ha per me un'attrattiva invincibile, tanto che ogni sera non posso fare a meno di venire a contemplarlo.
    - Sei una sognatrice, Vittoria... L'antica Saffo ha cantato il languido chiarore lunare: ai veli argentei della luna tu preferisci quelli purpurei del sole morente. Dunque, se io vorrò trovarti a quest'ora, ti troverò qui, in contemplazione di questo sempre nuovo incendio dell'urbe?
    Vittoria trasalì, tanto quelle parole esprimevano il suo pensiero.
    Vi fu un lungo silenzio. Entrambi guardavano l'immensa città che si stendeva ai loro piedi. Da migliaia di camini s'effondeva nell'aria limpida il fumo dei focolari domestici; già qualche finestra s'illuminava, perché dal fondo della valle salivano le ombre della notte, mentre gli ultimi raggi del sole morente baciavano le cime dei colli.
    L'orizzonte occiduo era tutto una delicata sinfonia di veli purpurei e violetti.
    - Guarda, Vittoria - disse Eugenio con voce mutata, rompendo il silenzio - guarda come le case si appoggiano le une alle altre, piene di migliaia di vite, palpitanti di migliaia di desideri... Guarda come il fumo che s'innalza dalla sommità dei camini sembra quasi il respiro di un essere vivente... Esso ci rivela la donna assisa presso il focolare che prepara ogni cosa affinché il nido sia più accogliente per lo stanco pellegrino che rincasa, quando le ombre incalzano ed è tanto triste dover camminare ancora nelle vie oscure...
    Tacque; e siccome Vittoria non accennava ad interromperlo, riprese con voce commossa:
    - Io non avevo che diciassette anni quando, lasciata la pretesta, fui mandato con le legioni in Dacia. Da allora, si può dire che non ho più conosciuto le dolcezze della vita familiare. Ma la crude vita del campo non ha fatto che accrescere in me la nostalgia struggente di una casa mia, nella quale la fanciulla del mio sogno sarà la regina. Allora, quando io ritornerò stanco dalle fatiche della guerra, sarà lei ad intrecciare con le sue bianche mani la corona di allora e a togliermi dolcemente l'elmo e la spada. Allora sentirò veramente l'orgoglio di avere difeso i confini dello stato Romano e dentro questi confini, la mia piccola sposa.
    "Sarà lei che alla sera, quando io rientrerò dal Palatino, mi verrà incontro, lieve come una soave visione fra le candide colonne dell'atrio, velate dalla luce viola del crepuscolo, mentre i servi frettolosi accenderanno i candelabri di bronzo.
    "Accanto a lei mi assiderò nel peristilio, nell'ora della siesta, lasciandomi cullare dal dolce mormorio della fontana, nella rosea luce del meriggio che penetra attraverso il purpureo velario.
    "Perché questo sogno si avveri ho sacrificato più volte due bianche colombe all'altare di Ciprigna...
    Tacque un momento, poi riprese:
    - In primavera Decio marcerà contro i Goti e la vita del campo ricomincerà nuovamente per me...
    Poi un silenzio più lungo. Evidentemente Eugenio aspettava una risposta. Ma Vittoria taceva, gli occhi fissi verso il cielo di opale che impallidiva lentamente, mentre il cuore le batteva pazzamente nel seno. Non poteva sottrarsi alla malia di quell'ora, ma un arcano timore, quasi un presagio di sventura, le invadeva l'anima.
    Era questa finalmente la voce dell'amore? Avrebbe dovuto dire: "Era tanto che ti aspettavo!"
    Ma non poté. Eugenio le sussurrò:
    - Non comprendi ciò che ti dico, Vittoria?
    - No - rispose con voce così impercettibile che egli appena l'udì. Poi alzò verso di lui i begli occhi imperlati di lacrime che in quella luce suggestiva sembravano due mistici, umidi fiori.
    In quel momento, volgendosi, vide Fabio che sorridendo con una strana luce di commozione nello sguardo, si avanzava verso di loro. Anche Eugenio se ne avvide e gli sorrise come per un'intesa. Fabio cinse d'un braccio le spalle di Vittoria e così insieme ad Eugenio, fra le siepi di mirto s'incamminò verso casa.
    Il crepuscolo aveva diffuso nel cielo la sua tenue luce violetta. Le nere ombre dei cipressi divenivano ancor più pronunciate. I gigli, non erano più che macchie perlacee sul punto di essere cancellate dalle tenebre. Le fronde degli alberi stormivano lievemente. Gli uccelletti avevano ormai nascosto il capo sotto l'ala. Tutto era pace e silenzio.
    Quando furono giunti dinanzi alla soglia del triclinio, Eugenio abbassò profondamente il capo dinanzi a Livia Plautilla che si appressava a rientrare in casa. Anche sul suo volto si leggevano tracce di commozione. Poi il giovane si accomiatò. Le sue pupille nere si fissarono per un istante nelle iridi turchine di Vittoria, come in una muta, appassionata implorazione.
    Indi Fabio, seguito dal nomenclatore, accompagnò l'ospite verso l'atrio.
    Rimaste sole, Livia Plautilla strinse a sé Vittoria e, fissandola negli occhui dalle pupille dilatate, quasi spaurite, le sussurrò con voce commossa: - Eugenio ti ha chiesta in isposa.






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