giovedì 20 giugno 2024

SANTA VITTORIA, SANTA D'ATTUALITA'

Santa Vittoria, vergine e martire romana, può ben chiamarsi se può passare l’espressione una santa completa e moderna.

Ella fu vergine; ma la sua verginità fu una verginità cosciente, insidiata e difesa strenuamente a prezzo della vita. Vittoria non ignorò le gioie e le dolcezze che avrebbero potuto sorriderle nella vita di sposa, dato che non le mancò la possibilità di concedere la sua mano ad un giovane nobile e bello e di entrare come regina nella casa nuziale.

Ella poté dunque misurare l’entità del suo sacrificio ed il valore della sua offerta. Ma posta dinanzi al dilemma: o rinunciare alla sua verginità ed aprire dolcemente il suo cuore ad un amore umano, sia pur lecito e benedetto da Dio, rimanere fedele al Cristo cui si era consacrata, andando incontro quasi certamente alla persecuzione e al martirio, ella non esita e sceglie la via gloriosa ed insanguinata del combattimento. Il suo giglio non crebbe in un giardino chiuso e ben difeso, ma in mezzo alle spine, in balia del vento della tentazione.

Santa Vittoria è una santa fedele. La sua fedeltà fu provata lentamente come l’oro nel crogiuolo. Ella fu martire: testimone del Cristo, testimone della verità; ma il suo martirio non fu rapido e glorioso, bensì estenuante ed oscuro. Per lunghi mesi e forse per anni ella languì nella tetra prigione di Eugenio e certamente in quel periodo non le furono risparmiate lusinghe e minacce. Probabilmente Ella conobbe anche l’ora buia della tentazione; l’ora delle tenebre, nella quale il mondo soprannaturale illanguidisce ed il sacrificio sembra sterile e vano. Forse il terribile dragone di cui parlano gli Atti, quel dragone che Ella vinse e scacciò, altri non era che l’eterno avversario dell’uomo, che s’aggira come leone ruggente intorno alla preda, per divorarla. Vittoria vinse anche la prova estenuante del tempo e nei mesi dell’esilio ornò la sua veste nuziale di gemme fulgenti, in attesa di impreziosirla dell’ultimo più splendido rubino.

Ma S. Vittoria fu anche apostola; e questo tratto l’avvicina singolarmente ai tempi nostri. Gli Atti insistono troppo su questo argomento perché se ne possa dubitare. La sua persona verginale irradiava quel Cristo che Ella possedeva interamente. Durante l’esilio Ella non perse il suo tempo, ma quasi ape industriosa lavorò indefessamente nella vigna dello Sposo. E nell’ora del martirio un coro di vergini paraninfe la scortò al trono del Re.

È singolare che questa dolce Vergine abbia riscosso tanta venerazione da parte degli austeri monaci benedettini, il cui genere di vita sembrerebbe tanto lontano da quello che Ella condusse. Mi sembra che a questa gentile devozione non sia estranea una certa qual cavalleria, del genere di quella dei bianchi monaci di Clairvaux per la dolce Regina del cielo. Ma se osserviamo bene c’è pur qualche cosa che lega misteriosamente ma intimamente i monaci di Farfa alla Vergine romana. Nella regola benedettina regna sovrana una virtù squisitamente latina: l’equilibrio: “ora et labora”. Un sommo rispetto per la libertà umana brilla nelle immortali pagine del grande patriarca, il quale voleva che il legame del cristiano non fosse la pesante catena di ferro degli schiavi, ma la dolce catena dei liberi figli di Dio. di Dio. Ebbene: nel carattere della soave vergine appare un singolare equilibrio ed una somma consapevolezza della dignità umana e cristiana. Ella scelse liberamente e coscientemente la sua strada; liberamente e coscientemente lottò per il suo ideale; seppe essere forte nella fede, paziente nell’esilio; in tutta la sua vita pregò per non cadere in tentazione e lavorò per non essere trovata a mani vuote all’arrivo del Padrone; non cercò, come fecero alcuni martiri, deliberatamente il martirio, ma quando fu necessario morire, seppe morire per il suo ideale. Fedele al suo nome, Ella vinse anche l’ultima battaglia.

(V. Genovesi)

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